Sovvertendo ogni logica, come vuole l’immaginario di questa serata nebbiosa di inzio Dicembre, potremmo cominciare dalla fine. Da ciò che resta di quasi due ore di questa nuova avventura di Ataraxia, che messi un istante da parte le vesti auliche da guerrieri evanescenti e diafani pellegrini, si rivestono dei grotteschi costumi della Parigi d’inizio secolo, per ricreare e far rivivere ai presenti l’atmosfera di “Paris Spleenâ€, album uscito ormai un anno fa su CMI. La fine quindi, è un saluto ad un amico che se ne è andato improvvisamente, la fine sono i visi degli spettatori; tra i quali piace riconoscere membri di Argine, Camerata Mediolanense e Lia Fail; soddisfatti, felici, sorpresi e forse un po’ inquieti e i volti degli attori, che tolgono le maschere e sorridono sotto il trucco di scena. La fine, sono soprattutto i sorrisi di Francesca, Vittorio, Giovanni e Riccardo, raggianti che si concedono un liberatorio bagno di applausi, dopo la tensione accumulata in queste settimane di prove per preparare lo spettacolo nei minimi dettagli.
C’era la sensazione che la serata del Teatro Dadà , nel centro di Castelfranco Emilia, sarebbe stata un evento unico. D’altronde le sfide non hanno mai spaventato gli Ataraxia e la loro immedesimazione in questi alter ego ubriachi di laudano e vita, ha qualcosa di ammirevole e drammatico allo stesso tempo. D’altronde la location è delle migliori: l’organizzazione ad opera de La Rose Noire, in collaborazione con il Comune di Castelfranco e Teatro Dadà , non lascia nulla al caso, accogliendoci in teatro con le musiche ambientali create e selezionate dagli estri artistici di Marco Grosso (Ouroboros) e Mirco Martelli (Neuropa), mentre ci ritroviamo a fissare il pesante sipario di velluto rosso ed a chiederci cosa vedremo all’aprirsi dei drappeggi.
La risposta non tarda a venire, ed è ancora un viso a fissarci istrionico e beffardo, sulle note introduttive di “Bienvenue a l’Enferâ€, il viso da folle clown di uno straordinario Livio Bedeschi aka Paul Patchy, e dietro di lui una sfilata di tagliagole, belle di notte, fumatori d’oppio e musicisti di strada in cui crediamo, o vogliamo riconoscere, gli autori di “La Malediction d’Ondine†o “Lost Atlantisâ€. Ma non ci può essere rimpianto per le cose passate, perchè questa è una nuova avventura, che ha l’amara melodia di “Où Vont Les Chiens?†come magnifica ouverture. I suoni sono nitidi, l’esecuzione pulita, forse a tratti leggermente nervosa, ma è naturale che non tutto possa e debba essere perfetto al “Cabaret de l’Enferâ€, non siamo qui per questo, non stasera. Ma Madame Bistouri non accetterebbe sbavature dai suoi CirkuZ KumP, li incita, li riprende, li dirige e soprattutto canta. Dietro la maschera Francesca si trasfigura, utilizza la sua voce in modo diverso da come l’abbiamo sempre conosciuta, con una inflessione sfrontata ed ironica. Il palco, addobbato con ogni tipo di immaginabile sordida reliquia, lucine intermittenti e di un grazioso angolo di cartomanzia, si anima di una vita movimentata e pericolosa, che circonda e coinvolge i musicisti in un gorgo di situazioni divertenti ed enigmatiche. Bastino ad esempio il demonio dalla rossa maschera che dirige l’orchestra brandendo un osso a guisa di bacchetta, sul finire di “Mon Chère Toutou†o la sfilata dei fenomeni da baracconi di “Tango Des-Astrès†in cui Madame Bistouri non potrebbe essere più eloquente nel raccontare la meravigliosa vita dei musicisisti girovaghi, svelando il senso ultimo di questa vita nascosta, che brulica febbrile sul palco del Dadà . Eppure, in tanti anni di concerti di Ataraxia, non ho mai percepito tanta tristezza, nemmeno durante concerti ben più contemplativi e pacati di quello a cui assistiano stasera. Questa celebrazione della vita folle dei vicoli parigini, ha in sè la malinconia delle esistenze perdute, che in fondo, forse, non è un sentimento estraneo a nessuno dei presenti. E’ qualcosa di forte, che impregna l’aria, e che avvolge anche i siparietti più divertenti, compresa la banana sbocconcellata con nonchalance da Livio sul bordo del palco o lo stesso Paul Patchy che perde la testa, o meglio il suo contenuto, dopo una zuffa con Riccardo, a degna coreografia di “Longtemps Pierrette d’Orient e “La Reine Des Hommes Aux Yeux Vertsâ€, prima che il sipario si chiuda una prima volta.
Le musiche di sottofondo mantengono alta la tensione creando un clima di attesa tangibile e quando ci riappare Madame Bistouri/Francesca, capiamo che stiamo per assistere a qualcosa che va oltre « Paris Spleen », in una ambientazione ancor più fumosa e cabarettistica, ma anche sensuale e vagamente lasciva. Il palco sembra ora svuotarsi e riempirsi di musica, attraverso il piano di Giovanni, il basso morbido di Vittorio e la batteria minimale di Riccardo. Ma ciò che sorprende è la voce di Francesca, che si inerpica e ridiscende in brani di Diamanda Galas, Kurt Weill e soprattutto una apocalittica “Alabama Song†dei Doors che stupisce e confonde tanto è stravolta e resa propria. C’è spazio per altri estratti di “Paris Spleen†e per l’emozione delle atmosfere più classicamente Ataraxia di un nuovo bellissimo pezzo, “Evnyssienâ€, in cui Riccardo utilizza ogni possibile tipo di sonagli, campanelli e strumenti ritmici mentre l’arpeggio di Vittorio ed il flauto dolce di Francesca ci riportano alle atmosfere di “Saphir†e forse anche a qualcosa di più antico, poi però tutto degenera sulle note di “A Votre Guise!â€, in un inseguimento al rallentatore in cui, prima o poi, tutti cadono sotto colpi d’arma da fuoco o coltellate a tradimento, in un rito di follia collettiva su cui si chiude per l’ennesima volta il sipario.
Ma non è finita, anche se Livio ci invita cortesemente ad andarcene e poi annuncia serissimo l’esecuzione di alcuni brani dei Red Hot Chili Peppers. Gli Ataraxia, soli sul palco, trovano ancora la forza di far risplendere le gemme preziose del recente “Kremasta Neraâ€, eseguendo la title track e la bellissima “Wings (I Had Once)â€, inframmezzate dal folle cabaret noir jazzistico di “N’importe Oùâ€, con i suoi sbalzi d’umore, a degna conclusione di una serata difficile da dimenticare.
E stavolta è davvero la fine. Oppure, semplicemente, è soltanto un nuovo inizio.
(Immagini di Giuseppe De Vito)
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