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-|-|-» [ RECENSIONI / Review ]

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- MT. SIMS - Happily Ever After...Again -

Se la creatività può essere considerata un dono innato, l'esperienza, al contrario, è il risultato di un progressivo, costante processo di apprendimento di metodiche non immediatamente acquisibili ma sottoposte al fattore tempo. Il berlinese Matt Sims, aka Mt. Sims, coniuga perfettamente questo concetto fornendo con "Happily..." l'ennesima prova di maturità artistica che vede il solo-project impegnato sul fronte post-punk sperimentale a seguito di un lungo e multiforme trascorso musicale che da più di un decennio lambisce emisferi cabarettistici, modern dance, satirici e provocatori. Collaborazioni di rilievo, remix, tours e, soprattutto, la scritturazione nella personal label del mitico DJ Hell, hanno fornito all'artista quel fondamentale bagaglio di conoscenze tecniche che oggi riscontriamo in questo album licenziato dalla Punch Records come proseguimento al precedente "Happily Ever After". Mt. Sims sonda con occhio critico e pungente le tematiche che affliggono l'umanità puntando l'indice e la voce sugli effetti che queste provocano sui comportamenti individuali ironizzandone gli aspetti più scomodi, non risparmiando nemmeno profondi temi come la stessa Morte e la Vita. Quattordici tracce si susseguono allo scopo di comunicare disagio con dissacrante lucidità aprendo la track-list con il dialogo guitar-vox-drumming di matrice after-punk affidato a "The Bitten Bite Back" succeduta dall'ibrida e cerebrale "Grave" strutturata su sonorità early-wave. "Love's Revenge" sfodera un acuminato synth d'ingresso a sostegno di un corpus di drum machine e vocals alienanti in attesa della lenta densità strumentale di "Unwound" e della robusta consistenza electro-acustica di "Candy Coated". Guitar noise processato e vocalizzi melodrammatici sono diffusi da "Disappearing Act" predisposta anche per una affascinante danza grigiovestita, così come la serrata percussività synthetica di "In Exile" supporta un solido, ipnotico filamento di chitarra elettrica vox e programming in atteggiamento desolato. "Hellbent", contestualizzata nella nebbiosa disciplina cold wave, offre uno scorcio verso un'oscura strumentalità chitarristica e vocals dal tocco velenoso continuando il percorso con la psicotica e graffiante "New Authority Volunteers". Canto impetuoso, fasi ritmiche incalzanti e coriaceo apporto di chitarra caratterizzano "Fall Back" che cede il passo alla lugubre psychedelìa elettronica di "The Shattering Of Crystal" ed ai suoi testi espressi con meditabonda amarezza, la medesima rilevata nelle liriche di "A Simple View" dalle ombrose ed inquiete manovre di prog che paiono voler deflagrare ad ogni istante rimanendo invece perennemente in modalità d'attesa. Patologiche melodie vocali, incessante rumore elettronico di sottofondo, regolari giri di basso ed energico drumming edificano "Fragile Breaks Fragile" anteposta al segmento terminale, "Shelter", lisergica, ossessiva litanìa down-tempo di sperimentale identità electro-wave. Operazione sonica preparata con mestiere sottolineante il considerevole fermento riscontrabile nel settore post-punk di recente evoluzione: album rivolto alle sofisticate masse di neo-wavers unitamente alle frange retroguardistiche più radicali. The new-past is back!
-|-|-» Prevale una continua impronta descrittiva che trasforma le tracce in efficaci strumenti di riflessione. La linea compositiva è soddisfacente, accostabile alle altolocazioni più note conservando nel contempo una spiccata personalità che permane con continuità sia nelle musiche che nei testi. Il secondo capitolo di un titolo che esplora in profondità i drammi esistenziali e gli irrisolti enigmi interiori analizzati con ironico distacco: un piccolo, irrinunciabile must.

- VLADIMIR HIRSCH - Graue Passion -

Praga. Fin dalla tenera età Vladimir dava già prova della sua naturale inclinazione verso il magico suono del pianoforte e quello più austero dell'organo accrescendo la propria arte parallelamente ad un'instancabile vena produttiva che conta una sterminata serie di albums, side-projects (Aghiatrias/Skrol/Zygote/Luminar Ax/Tiria/Der Marabu), entertainments, soundtracks e compilations. Acclamato compositore avanguardista VH si ritiene stilisticamente conflittuale essendo egli predisposto sia per il puro neo-classicismo, sia per il sound post-industrial, riassumendo le proprie creazioni in ibridi dalla natura definita "Integrated Music", bilanciate miscele tra acustica e tecnologia. Licenziato dalla Ars Benevola Mater l'album in questione rivisita l'opera "Descent From The Cross" introducendo otto tracce dal respiro convulso, ottenebrato, permeato da un costante senso di "allarme" che scorre tra lo spartito, come nella breve apertura "Da Riss Der Vorhang Entzwei" o nella successiva "Die Nacht Unter Dem Kreuz", un dark ambient teso, rarefatto, come la colonna sonora della scena che anticipa il delitto vero e proprio. "Die Kreuzabnahme" predilige soluzioni tastieristico-sinfoniche scolpite nell'acciaio con meccanici interventi di samples a sostegno percussivo, phatos orchestrale ed enormi quantità di buio. "Der Weg Vom Golgotha" scivola quasi silente nel suo sibilante tratto iniziale interrotto nell'avanzare del minutaggio da sporadici stridori ed improvvisi rombi percussivi fino al raggiungimento dell'arcana voce di Martina Sanollovà gravitante attorno ad una tetra nebulosa costruita su gelide alchimie industrial da laptop in "Voll Blut Und Wunden". Ancora dark-ambient dalle melodie spente, tenebrose, dall'affascinante freddezza esecutiva per "Die Gablegung", che definirei perfetto sinonimo di "inquietudine" o di "agghiacciante", sfibrante stato di tensione orchestrato su scandite su ossessive sezioni di keys, ondate rumoristiche e distanti vocalizzi. "Apotheose" dispiega perturbazioni tastieristiche in crescendo, fluttuazioni industrial, repentine discese negli abissi ed altrettanto rapide risalite nella turbolenta superficie percussiva anticipando la traccia di coda, "Epilog", composta sinfonia tastieristica dagli accordi solenni che termina una track-list importante, signorile. Album dai contenuti che assicurano un elevato coefficiente di feeling purchè la natura del listener sia assolutamente rigorosa ed incline alla drammaticità.
-|-|-» Equilibrato dualismo tra l'industrial-art ed orchestralità dark-classical diretta da una mente esperta nel saper tenere alto il livello di attenzione soggiogando l'inconscio. Ascoltato a pieno volume in una notte di tempesta "Graue Passion" vi offrirà l'occasione di verificare quanto controllo avete sul sistema nervoso centrale. Buon ascolto.

- THE NOONDAY DREAMS - Shelleyan Cloud -

Il quartetto tedesco composto da Achim (vox/piano), Andreas (electric-acoustic guitar/keys/backing vox), Lothar (bass/guitar/backing vox) ed il drummer Boris propongono un pop-wave di ispirazione old school con un buon debut album promosso dalla Audiostrom. La linea compositiva della band è semplice, acustica, priva di asperità e di astrusi arrangiamenti a vantaggio di un'espressione strumentale leggera ma non affatto scontata benchè non completamente collocabile in un contesto "out of maintream". Le dieci tracce esordiscono con lo stile vagamente Smiths dell'omonima "Shelleyan Cloud" assai melodica e dal refrain catturante. Una malinconica "Alaska Murder Ballad" prosegue il cammino tra ritmica mid-tempo, morbide chitarre e tranquilli vocals raggiungendo la successiva e più animata "The Awakening". Oltrepassiamo le accattivanti armonie pop di matrice waveggiante affidate a "Tell-Tale Bat" per approdare alla tersa musicalità di "Shirley" ed alle placide atmosfere psychedeliche di "Flow". Sound implicitamente post-Morrisey quello generato dalla susseguente "Harbour Town", traccia di ottimo effetto che precede la dinamica "Our Universe" anch'essa posizionata su sonorità brit-pop. "Dawning" è un lento insieme di modulare chitarra elettrica, key e vocals afflitti completandosi con la triste folk-ballade "Sinking Slowly". Disco non superlativo ma completo di tutto ciò che occorre per appagare gli irriducibili del panorama alternative-pop. Meritevoli di attenzione.
-|-|-» Nulla da eccepire sulla preparazione tecnica dimostrata dal quadrato TND anche se a mio giudizio la band potrebbe raggiungere un maggior rendimento applicando più enfasi nei vocals ed altrettanta scioltezza nelle musiche. Che questo debutto sia loro di buon auspicio.

- ALIEN SKIN - The Unquiet Grave -

Appellativo artistico molto inflazionato quello denominato "Alien Skin" che in questa occasione corrisponde all'australiano George Pappas ex keyboard-man dei Real Life, progetto wave-pop-electro che caratterizzò il primo segmento della decade 80's soprattutto con l'hit single "Send Me An Angel". Questo nuovo album, sponsorizzato dalla A Different Drum, esce posteriormente al debut del 2008 "Don't Open Till Doomsday" utilizzando prevalentemente il binomio keys/vocals a supporto di undici tracce velate da atmosfere che liberano composta malinconia. "The Unquiet Grave", opening track, riflette esattamente questo concetto attraverso un soave canto circondato da caldi soffi di tastiera raggiungendo in seguito "History", anch'essa dalla personalità introversa, musicata su un sordo tappeto di programming comunicante con la mesta timbrica del synth. Suono espanso, impalpabile per la meditativa "Love" succeduta dalle trame cariche di electropop oscuro tessute da "This Isolation". Ancora soporifero dramma interiore in "Dirty Kisses (A Vampire Love Song)" ed in seguito nella bella "Cold", down-tempo abbracciato ad un tenue flusso di key che esalta la malinconia del canto, la medesima presente anche in "Emily". Ancor più mesta "After The Funeral" espande catartiche procedure electro in combinazione con vocals sconsolati mentre "The Birthday Party" concede spazio ad una ritmica più attiva sempre assoggettata all'afflitto pentagramma elettronico che costituisce il concept dell'opera. "Bleed" non si discosta affatto dallo stile elegantemente intristito fin'ora proposto concedendo alla conclusiva "If" di chiudere morbidamente la title-track con un melange di synthpop zuccherino. L'inquietante titolo dell'album sarebbe stato forse più adatto ad una proposta di oltretombale provenienza dark poichè in questo disco non troverete tenebrose mescolanze tra macabro ed orrorifico ma una debordante dose di soave struggevolezza circoscrivibile in una delle innumerevoli varianti dell'electropop. Ben concepito ma non essenziale per la vostra collezione.
-|-|-» Atmosfere fragili che si sfaldano spontaneamente ad ogni traccia dove movimento e vibratilità sono bandite. Le emozioni vengono solo sfiorate ed i presupposti per valutare tiepidamente l'album si concretizzano pienamente: riprovaci, Mr. Pappas.

- THE JOY OF NATURE - The Empty Circle Part II -

Una suggestiva escursione attraverso le ancienti tradizioni culturali atlantiche: ecco in estrema sintesi i contenuti che caratterizzano l'album del neo-folker portoghese Luís Couto, polistrumentista, compositore ed artefice del progetto multimediale TJON. Nell'opera edita dalla Ahnstern prende corpo uno stile sorprendentemente simile a quello esposto dai Sangre Cavallum con largo impiego di strumentazioni etnico-acustiche, neo classicismo ed atmosfere fortemente impregnate di mistero e surrealismo, dettagli che si inseriscono magnificamente nelle quattordici tracce permettendo all'immaginazione di espandere smisuratamente i propri confini. Tocchi di bell introducono il pezzo d'apertura, "Invocação Ao Arcanjo Miguel", accarezzata dalla chitarra acustica, indian flute ed uno strumento che risulterà onnipresente e decisivo nella title-track, la viola de terra, chitarra tipica delle Azzorre. "Tanchão", tradizionale folk-song portoghese, arpeggia corde classiche ed elettriche, lente percussioni, kantele, organo, tin whistle e la soavità della vocalist Mara Neves mentre la lontana coralità introduttiva di "Terra De Lava E De Mar" tende la mano ad evocative espressioni canore delle coste atlantiche innalzate da Bruno Ardo e musicate dalle chitarre, alpine zither, bowed psaltery, viola da terra, bag-pipes e hurdy-gurdy. Sonorità e significati di culture dimenticate in "Ó Menino Ó", canzone popolare della regione denominata Tràs-os-Montes, che aggiunge alle strumentazioni già elencate un apporto di harmonica ed arpa; in successione "Nas Veias Do Menino" edifica duetti corali, cymbala, chitarre, viola de terra, basso e le main percussions di R. Countinho. "Cavalos Correm Nas Minhas Veias" propone una livrea ritmica quasi marziale, rumoreggi di folla, cavalli al galoppo ed un cantico solenne punteggiato da bandola, bandolin e bagpipes manovrati da M.J. e Bruno Ardo precedendo le susseguenti improvvisazioni di "Sete Cidades", livida caricatura folk dalle ossessive note di gemshorn, armonica,guitar, arpa, tin whistle e viola da terra. "Senhora Da Manhã Vitoriosa" dispiega malinconica religiosità in liriche appoggiate su basi di chimes, indian flute, pizzichi di chitarra acustica e bowed psaltery, così come "Por Tua Saudade" offre un tranquillo insieme percussivo, vocals espressi con naturalezza, alpine zither, arpa e duduk circoscritti da atonalità chitarristica. Stesso concetto anche per "Sombras Dos Nossos Ancestrais" che addiziona ad un canto sommesso rarefatti interventi di corno francese, chitarra acustica, kantele, viola da terra e chimes percossi da una lenta ritmica che prosegue identica a quella sostenuta in "A Senhora Do Almortão E A Criança Esventrada", tipica della regione di Beira Baixa, armonizzata da Rui Almeida alla chitarra elettrica e concertina. "Do Outro Lado Da Montanha" propaga un attenuato flusso percussivo parallelamente a frammentati vocals, didgeridoo, guitar, viola de terra, alpine zither e l'hunting bugle suonato da Triarca concedendo alla successiva "O Cortejo Sinistro Das Sombras" di esprimere la propria austerità folk per mezzo di drones, chimes, flauto indiano, sussurri, viola de terra e percussioni. "Para Lá Das Sombras" chiude il cerchio diffondendo scandite linee ritmiche, bell, loop e flauto. Un album a tema specifico e costruito prevalentemente sulla spontaneità esecutiva senza nessun sofisticatismo o pianificazione di studio per meglio fruire della tangibile aura campestre di un concerto folk. Se i vostri gusti accomunano questi elementi, l'album è vostro.
-|-|-» Lavoro naif, di una semplicità disarmante. L'alternarsi delle tracce evidenzia passione ma anche una certa ripetitività nei moduli che potrebbero risultare pesanti ad un ascolto non edotto. La perfezione negli arrangiamenti non tocca intenzionalmente livelli da applauso a vantaggio della naturalezza compositiva. La "Gioia della Natura", appunto.

- ARX KAELI - Highway -

L'originale ed artefatto packaging in legno del cd-box non farebbe certo intuire che i contenuti sonori inclusi nella tracklist manifestino invece un'avantgarde idm//industrial di così eccellente fattura. Non si conosce nulla dei tratti identitari del solo-project russo celati oltre lo pseudonimo AK, tuttavia possiamo apprezzarne le sedici testimonianze tecnologiche registrate tra il 2005 ed il 2008 e licenziate dalla label Acidsamovar per questo album in linea con i più esigenti parametri qualitativi del genere. Tutti i passaggi della title-track sono strumentali ed ereditano l'appellativo di "Route", suggerendo l'ascolto ideale di questo sound adatto alle lunghe percorrenze in auto percependone attentamente le intricate textures riflettendole al paesaggio circostante. L'intro "Route I" rivela un suono orientaleggiante di corde campionate precedenti la successiva "Route II", dagli aeriformi drum beats intercalati ad altrettante meccaniche scansioni. Perturbazioni elettroniche in "Route III", disciolte in seguito in cristalline trame percussive up-tempo e soluzioni di laptop. "Route IV" macina torbide ritmiche da laboratorio, loops e vortici di suono sequenziato che anticipano le turbolenze percussive di "Route V", tumultuoso insieme di propagazioni tecno-futuristiche. Mixtures di tonalità tastieristiche nell'essenziale "Route VI" anteposta alla successiva "Route VII" dalle convulse progressioni alternate alla ruvidezza del drumming; potenti distorsioni ritmiche dall'incedere ipnotico anche in "Route VIII" che si avvicendano alla liquefazione computerizzata dei venti emanati da "Route IX" miscelati sapientemente ad eleganti soluzioni idm dal sapore etnico. Un piano echeggiato apre la suggestiva down-tempo "Route X" circondata da delicate scie di tastiera e modulari rotazioni percussive, proseguendo in seguito con le pulite strutture disegnate in "Route XI". Velocipedi electro-beats percuotono con gelida intermittenza "Route XII" accorpandosi a complicati grafici di key, i medesimi architettati per "Route XIII", intorbidita da ronzii industrial e drumming alieno. "Route" XIV" sovrappone inquieti technopixel percussivi a rivoli di suono macchinoso e dilatato mentre "Route XV" tesse un mercuriale ed inacidito tracciato di laptop. Fitto diagramma ritmico per "Route XI", crivellata da affilati fotogrammi sequenziali ed asettici apporti di tastiera concludono l'elenco delle tracce a disposizione in questo album dal repertorio di gran classe. Un'altra supernova si è aggiunta al firmamento dell'intelligent dance music.
-|-|-» L'Est si rivela sempre più una fucina di artisti elettronici dalle capacità indiscutibili ma troppo spesso assoggettate ad una scarsa divulgazione mediatica. Dside infrange il silenzio evidenziando le realtà più meritevoli sottoponendole all'attenzione del suo pubblico: AK costituisce un progetto da estrapolare dall'ignoto. Eccolo quindi a voi in tutto il suo tecnologico splendore.

- ATARAXIA - Llyr -

Nessun narcisimo stilistico fine a sè stesso ma, al contrario, un proclama dai contenuti vividi, emozionanti. Ciò si rivela "Llyr", album altamente comunicativo che predilige chiavi di volta dalla natura semplice ma introspettiva, dai suoni radicati in fertili terreni dark-folk che riescono ancora ad ispirare artisti come i modenesi Ataraxia, cult band con al seguito un rilevante numero di realizzazioni delle quali la penultima "Kremasta Nera" distanzia di tre anni quest'ultima opera edita tradizionalmente dalla Prikosnovénie. Una apoteosi importante di provenienza celtica, quella del 21 Marzo chiamata Alban Eiler, funge da mirata ricorrenza per la pubblicazione dell'opera, rafforzandone la già significativa ed intrinseca devozione alla Madre Terra, omaggiandola con dieci tracce riferenti sonorità ed estetiche canore dedicate nel concept alla "lira", meraviglioso strumento musicale dell'antichità arpeggiato da dita ed animi sensibili, colti, poetici. Farancesca (vox/flutes), Vittorio (guitars), Giovanni (keys/hamonizing) ed il drummer Riccardo trasformano la track-list in una sorta di immaginario viaggio vissuto sulle orme dello sciamano Siqillat, sorvolando le ere dell'Oro, dell'Argento, del Bronzo, del Ferro, mescolando grazia, passione e sangue fino al raggiungimento di espressioni liriche dai colori di una notte senza luna. "Siqillat", opening track, esordisce eterea col canto della vocalist, chitarre, frame drums ed atmosfere surreali precedendo "Scarborough Fair", dal vellutato timbro vocale di Francesca nel quale germinano tenui efflorescenze chitarristiche ed ancienti melodie. La più notturna "Quintaluna" offre uno spartito vocale eseguito in duetto che enfatizza le solenni sinfonie tastieristiche percosse da un tuonante tamburo mentre l'omonima "Llyr" predilige soluzioni più meditabonde cantate dalla singer con accento malinconico sostenuto da chitarre, viola e percussioni che tramontano per risorgere come un pallido sole di inizio Primavera. "Elldamaar (Part I)" si permea di un background sonico vagamente orientale e canto austero, come "Evnyssien" tesse un pacato ricamo chitarristico sulle evocative trame vocali di Francesca. "Klepsydra" scandsce il tempo inquadrandolo entro un apparato strumental-vocale che rimanda ai Cocteau Twins più lisergici anticipando l'ingresso e la conseguente ripresa di "Elldamaar (Part II)", quì in veste ulteriormente mistica, musicata con spirituaità tribalistica che si riflette sulle ritmiche integrandole a fuggevoli soffi di flauto e sciamaniche espansioni vocali, le medesime innalzate da "Payatry Mantra", traccia esprimente pagane liturgie dark-folk sprofondate entro atonali basamenti di key, gocciolìo campionato, bell ed atmosfere estatiche. L'incantevole finale, "Borea" diffonde fascinosi sussurri da sirena che si insinuano nell'anima con immensa dolcezza stemperandosi in placide acque tastieristiche color indaco le cui onde si infrangono in una sconfinata riva di emozioni. Un progetto, gli Ataraxia, perpetuamente alla ricerca di simbolismo espresso attraverso un suono maturo entro ilquale emergono pregevoli picchi d'arte folk contemporaneamente a traiettorie soniche marcatamente sacrali, coinvolgenti. Un album che si aggiunge splendidamente ad altri capolavori testimoniando anche in quest'ultimo banco di prova l'ammirevole livello composiivo raggiunto. Il magnetismo di quest'opera vi stregherà per molte, lunghe stagioni.
-|-|-» Ogni singolo atto di "Llyr" conserva un atteggiamento composto, con la magica capacità di saper dialogare direttamente con il profondo mediante un tacito alfabeto che solo la sensibilità individuale saprà intimamente decodificare ed esaltare. Ora che il rito primaverile è stato celebrato, l'entità errante, primordiale Siqillat può finalmente riposare.

- DENSE VISION SHRINE - Time Lost In Oblivion -

Piattaforma individuale del belga Karsten Hamre (Arcane Art/Penitent/Defraktor) contrassegnata da un dark-ambient orientato verso nebbie gotiche, severe dottrine elettroniche e traslazioni di laptop immerse nell'azoto liquido. Otto anni separano "Time..." dal debut "Magic & Mistery" e tre dal precedente "Unwinding The Inside", replicando un suono cristallizzato, perfettamente aderente agli statici fotogrammi contenuti nel dvd annesso accomunante l'acustica ad un immoto repertorio di decadenti paesaggi avvolti da malinconia. Dieci atti nella title-track per altrettanti momenti di riflessione e pacatezza, in un lungo percorso promosso dalla label First Fallen Star ove l'artista manifesta tutta la propria vocazione al dark-sound combinando poche, pesanti note di key ad una greve percussività ("From Oblivion") estendendo atoni accordi dalla lunghezza infinita miscelati a rumoreggi da sottobosco ("A Voyage From The North"). Più ci si inoltra nell'ascolto e maggiormente emergono con chiarezza le caratteristiche da sinfonia buia presenti in tracce dagli intenti rivolti verso cupezza e glacialità nordica ("Through Fjords And Burning Skies") oppure verso soluzioni di laptop introdotte nelle tenebre di un dark-ambient-industrial da odissea ("The Kingdom Of Bucovnia") propagando in seguito una compattezza sonica dall'involucro impenetrabilmente coriaceo e nero su bassi ruggiti tastieristici dall'estensione immensa e priva di ogni inflessione melodica ("Time Lost In Oblivion"). Meccanici battiti di drum-machine accompagnano corpose ondate di key e rumoreggi dalla provenienza extraterrestre ("Through Eternity") prolungando la freddezza sensoriale attraverso minacciosi artifici elettronici profondi come il tuono miscelati ad opprimenti dilatazioni di dark-sound ("The Guardians Of Staglieno"). Espansioni di ritmica robotizzata e adombrata tonalità tastieristica scolpiscono altissime cattedrali modellate sul ghiaccio ("The Black Forest") deponendone i frammenti nelle successive stesure dalla satica intensità quale sinonimo di dramma, raffigurato sonoricamente in ogni singolo istante ("A Womans Cave"). L'umbratile tragitto termina canalizzando vibranti risonanze sotterranee screziate da ripetitivi flagelli percussivi ("The Girl Next Door") a conclusione di una caliginosa opera alla quale aderiranno senza indugi gli estimatori del suono notturno e visionario. Da approfondire con reverenziale concentrazione.
-|-|-» Evanescenti fluttuazioni di suono color ebano incrociano freddi tatticismi tecnologici sapientemente disseminati in un album che soggioga imponendo immobilità e riflessione. Un vortice di buio ha inghiottito il tempo.

Copertina non disponibile

- INDUSTRIAL DRUM MACHINE - Enterprise Oscillator -

Quattro tracce autoprodotte ruotano nel lettore ad opera dell'ellenico Idm Tech-Model devoto all'emisfero industrial-minimalist ed artefice di un sound che non lascia stupefatti ma in grado di dedicare interi minutaggi ad intense cyber-dances. Lo schema proposto è essenziale, non particolarmente ricercato e denotante soluzioni che risentono ancora vagamente di un modulo "home-made" che se completamente rimosso potrebbe far luce su un ennesimo, considerevole, rappresentante dell'affollato universo tecnologico. Il lavoro si snoda tra limpide nozioni di programming e totale strumentalità priva di vocals intraprendendo il percorso con la stessa "Enterprise Oscillator" dalla percussività ipnotica in supporto a loops ed innocue elaborazioni elettroniche, le medesime che ritmano la dinamica "Heart Compressor" sospinta da secchi moduli di e-drums ed androidi impulsi di samples. "Dynamo Breaker" si rivela un'apprezzabile cavalcata industrial mediamente aggressiva e punteggiata da figurazioni soniche da pista anticipando la conclusiva "Robotic Animation", energico futurepop dalla pulsante base ritmica attorniata da effects. Operazione semplicistica ma test d'ingresso sufficientemente convincente. Attendendone la metamorfosi.
-|-|-» Trapela una sagacia tutta da perfezionare ma già in fase attivata, capace di far scorgere un lontano ma probabile orizzonte di futura popolarità. Il buono, tutto considerato, non manca.

- ASPECTEE - Morben -

Un'altra terrificante discesa verso l'ignoto, un trip sonico denso come il buio. Il tedesco Michael Frenkel con la sua creazione Aspectee, parallel-project a Evoke Scurvee, diffonde una torbida spazialità dark-ambient/industrial/drones con questo debut album influenzato dalle drammatiche vicende umane, dalla buona ed avversa sorte nonchè da letture e cinematografia fantastica. La concettualità acustica espressa dall'artista è di per sè assai semplice ma nel contempo in grado di evocare spettralità ed inquietudine nelle nove tracce licnziate dalla First Fallen Star, privilegiando una glaciale tonalità tastieristica intelaiata a profonde estensioni di suono noir. La cavernosità delle esecuzioni diparte inizialmente da "Stuhlmann", monolitico assemblaggio di laptop oscurato da muti accordi e sospensioni sottozero ed in seguito da "Dianthus", strutturata su un algido alito di key che ventila atmosfere cristallizzate, tubolari. Un graffiante crepitìo annuncia "Newin", anch'essa propagante un insieme sonoro aereato, gassoso, nero, concomitante alla successiva "gotheDrStone" che rilascia una lunghissima scia di soporifere manomissioni ipno-inducenti. Un dark-ambient livido, gelide emissioni di plasma tastieristico che prolunga accenti color dell'ombra in "Kince", susseguita dal rimescolamento industrial macchinato dalle basse frequenze nell'omonima "Aspectee". Il rigore del freddo non si arresta nemmeno in "Betho Et", dilatata ed estesa su uno sconfinato filamento di key anticipando "Leanon", stridula creatura tecnologico-notturna che sussurra sibillini fraseggi percorsi da fremiti computerizzati. Atto finale, "Unwic" sommerge l'ascolto con una crepuscolare sezione di key che disegna incolori ionosfere estese quanto l'universo. Album che sancisce la capacità di Aspectee nell'architettare soluzioni che sappiano esprimere ciò che il drammatico decorso dei pensieri proietta, concretizzandone i contenuti e trasformandoli in suono. Questa è arte.
-|-|-» Espansioni di tenebra in grado di oscurare il sole più luminoso, sotterranee sovraesposizioni di dark-sound a gradazione plutoniana: se è ciò che cercate sarete sorpresi dalla quantità di questi elementi presenti in "Morben". Uscirne integri sarà impossibile.

- ENDLESS SHAME - Unspoken Words -

Concordo appieno con il quadrato svedese ES descrivendo essi la loro musica come una mixture di techno-rock melodico. Alla suddetta citazione aggiungerei personalmente ulteriori elementi marcatamente electropop ben percepibili nelle creazioni fin'ora ascoltate. In questa fase particolarmente prolifica di prodotti electro-oriented solo i solidi progetti riusciranno ad insinuarsi tra le strette maglie che separano i titoli più meritevoli dalla moltitudine di banalità, evolvendosi o estinguendosi in una sorta di naturale meccanismo darwiniano. Il debut "Price Of Devotion" del 2007 aveva convinto globalmente sia il mio giudizio che quello delle critiche, al punto di nominarlo "synth-album of the year" in occasione della rassegna svedese Manifest-galan, riconoscimento pienamente meritato. Anders (keys/backing vox), Mika keys/percussions/computers) e Mattias (vox/guitar/keys) ripropongono il proseguo artistico attraverso questa release promossa dalla A Different Drum che incorpora dodici effervescenti tracce prive di ovvi ristagni e coerentemente adeguate al genere in questione non tradendo nè le aspettative nè il buon gusto. "Pure", single track e pezzo di inizio album, rivela apertamente l'identità della musica che verrà esposta nei successivi passaggi ovvero una electro-scultura intagliata con garbo, dalla ritmica ballabile e programmata con accuratezza alla quale succede l'energica banda percussiva e le melodie d'effetto dell'eccellente "My Creation", episodio dal refrain che resta impresso nella memoria per semplicità armonica miscelata ad un azzeccato gioco di samples e programming. "Holy Gound" espone concetti synthpop educati ed un pò ingenui mentre "Revelations" punta soprattutto sul curato sostegno percussivo e sullo sviluppo di liriche accattivanti che non sfuggono all'ascolto; battute ritmiche dance-minded per "No Tomorrow" oltrepassata dalla depechemodiana "Sweet Illusion (part II)", visibile anche in versione video, e dalle electro-malinconie espresse in "Live In Darkness". Morbide distese di key e progs si librano da "Lack Of Silence" conducendo in seguito ai moduli vagamente alla And One di "World Of Confusion" ed ancora più innanzi verso l'atmosferica "Jericho", traccia pianificata appositamente per essere assimilata sia dall'ascolto che dall'inevitabile danza. "For The Devout" si concede un tenue sottofondo di electric guitar a supporto di un orecchiabile schema electropopper a cui si avvicenda il tratto finale rappresentato dal down-tempo "Unspoken Words". Un album espressivo che non impone supremazia ma che piacerà ai referenti dell'electro non baccanale o ultra-sofisticata. Secondo album positivo.
-|-|-» Il versante pop elettronico svedese aggiunge un ennesimo componente nel gigantesco ingranaggio al quale aderiscono mensilmente fenomeni ancora in ombra ed altri, come gli stessi ES, che tracciano un deciso confine tra la variegata massa di improvvisatori dimostrando piena padronanza di ciò che realizzano. Vi pare poco?

- RESISTANCE OF INDEPENDENT MUSIC - III -

Piattaforma di lancio di ciò che sarebbe divenuto l'attuale Obsidian Radioactive; i greci ROIM, rappresentati dal front man Toxic Razor (vox/synths/piano/e-machines), Kriistal Ann (vox), Dreamlord (guitars/bass) e Android Rythm Machine (drums), attivarono nel 2007 le prime quattro tracce autoprodotte seguite nell'anno successivo dal più completo ed altrettanto anonimo "II" succeduto da questo penultimo "III" che precede l'imminente ep "The Silent Voyage". Il lavoro ascoltato rivela un'impronta sperimentale vividamente ibrida incorporante elementi post-rock, industrial ed elettronici ancora in fase di sviluppo ma sufficientemente convincenti. La track-list offre nove passaggi dei quali la tastieristica "Lunar Waves" funge da intro alla susseguente e cruda "In The Fields Of The Glowing Steel", un buon industrial-rock dalle chitarre trapananti, dalla percussività equicomposta e dai vocals amari che si stemperano infine in un suggestivo tramonto di sonorità elettroniche. Basso e rullante formulano l'ossatura di "Resist" che si evolve in un goth-rock alternativo entro cui fluttuano torbidi vocals che marcano ogni accordo con un senso di vuoto lasciando che le atmosfere vagamente Sisters Of Mercy circoscrivano "Divided Hearts" cantata in duetto con la singer, punteggiata da un modulare intervento di synth che incrocia le robuste traiettorie dell'electric guitar. "Anything Left" si rivela un sepolcrale dialogo key/drum-machine/double vocals mentre "A Thousand Ruins" coniuga affascinanti tocchi di synth a bass lines, piano ed asciutto drumming; un gelido vento campionato introduce le laceranti liriche di "Secret Devil Nation" riflettente un electro-alternative-rock acido e down-tempo ritmicamente opposto alla successiva "Invoke The Metal Fiend" incattivita vocalmente da graffianti tonalità distorte che in questa occasione non mi esaltano particolarmente. Un incessante turbinìo elettronico vibra entro un contorto vortice di live-percussions composto da pause, improvvise rullate de-sincronizzate, urla, echi ed oceani di pura sperimentazione: tutto ciò nel finale "Swarm Of Cenobites". Le tracce dell'ep utilizzano una polimorfica eredità alternativa iniettata in ogni episodio che conseguentemente assembla volta per volta tutti i componenti provenienti dalle diverse discipline underground. Arduo ma non impossibile procurarne una copia: se la curiosità vi dovesse sopraffare non esitate a cercarla ovunque.
-|-|-» Interessante ed a tratti imprecisa prova di stile che tuttavia denota una buona determinazione specialmente nel saper interagire con una differente pluralità di orientamenti. Sarà la Grecia la prossima frontiera avanguardistica?

- OBSIDIAN RADIOACTIVE - Industrial Metal Machine -

Recente autoprodotto per il già noto Toxic Razor, trattato in altre occasioni sulle nostre pagine con l'omonimo ep, attraverso il progetto parallelo Resistance Of Independent Music ed ora con questo nuovo lavoro che conferma l'attitudine dell'artista al suono industrial-speed-rock . La release consta di dieci creazioni proiettate in un contesto futur-apocalittico che ne condiziona le tonalità strumentali, le atmosfere, le inflessioni vocali che si permeano di inquietudine ed aggressività. Il trend dell'opera si rivela già nelle prime brevi, drammatiche note tastieristiche dell'intro "Flex" che trascina l'ascolto alla successiva "Endtime Navigation", aggressivo marchingegno concepito su vocals acuminati, guitar noise elettrificato ed asciutta drum machine, la medesima che crivella di veloci beats "Queen Of The Gang-Bang Show", attraversata da crudezza vocal-chitarristica e progs. "Destruction In Selected Pieces" gravita su spoglie orbite industrial infettate da virulenza sequenziale, guitar, wind-noise e vocals sporchi così come "For Black Winters To Come" echeggia liriche cavernose, progs, danzabile ritmica mid-tempo ed una gradita spazialità di synth subito travolta dall'irruente ripresa di chitarra elettrica e drumming sferzante. "Trepassing Heaven" prosegue le robuste e secche propulsioni percussive delle precedenti tracce evolvendosi in una mixture di electro-rock contaminato da elementi vocali industrial; in sequenza percepiamo la possenza della combinazione drum-guitar-voice espressa in "Trails Of Discord" rapportabile alla lancinante violenza della stessa "Industrial Metal Machine". "Steel Work" assume le fattezze di un barbaro industrial-metal dalle micidiali accelerazioni percussive in anticipo su "Enthralling Detritus", traccia conclusiva che recupera tranquilli concetti electro-noise e ritmiche segmentate, il tutto sommerso da assordante rumorismo sinthetico. Album dalla solidità inattaccabile che tuttavia a mio giudizio avrebbe potuto esprimere maggi
or personalità sul piano vocale, dettaglio rimediabile con emissioni più naturali e meno impostate. Cosa di tanto terribile turba l'animo di Toxic Razor?
-|-|-» Gli estimatori di superforze chitarristiche, predomini percussivi, miscelazioni di elettronica industrial e livore vocale si accostino al sound forgiato da OR, in questa occasione particolarmente agguerrito. Contrattacco devastante terminato con successo.

- DROID SECTOR DECAY - Spread The Virus...Western Decay -

Famiglia di techno-artisti quella appartenente a Toxic Razor (Obsidian Radioactive). L'one-man project DSD quì in esame è rappresentato dal fratello, The Rythmdealer (synths/rythmachines/samples/progs/vox/fx), il quale esordisce con questo debut autoprodotto di chiara matrice industrial-dark/electro sperimentale. La base operativa del progetto è ubicata a Rodi ma l'intento che supporta "Spread..." è di una speranzosa diramazione dell'album verso gli uditi sparsi nel resto del continente configurando allo scopo, e con le debite proporzioni, uno stile allineato con le proposte più attuali adoperanti schemi tattici influenzati da richiami alla F242, Cat Rapes Dog, Velvet Acid Christ, Project Pitchfork. Le undici tracce del lavoro non risparmiano in energia nè tantomeno in ballabilità sfruttando liriche campionate e dinamismo strumentale ma ripiegando troppo spesso su una scomoda replicazione che ne offusca parzialmente l'efficacia: "Western Decay", opening, trasmette loops vocali, tocchi di piano, sporadici drum-beats ed effetti di sottofondo. "Cold Blood Murders" innalza una robusta barricata electro-ritmica a sostegno di progs alienanti in attesa della successiva aggressività sequenzial-percussiva di "If You Can't Scare Them, Terrify Them". Un modulo apripista estremamente danzabile struttura "From Night, Evil Night", un dark-techno finemente elaborato da drumming cadenzato, come il perfetto dancefloor impone. "We Are All Freaks" propaga ipnotiche ondate di elettronica trance-oriented, la tellurica "Invade.Damage.Occupy" ripartisce infuocati apporti di percussività sintetica up-tempo, mentre "Church Crusher (Extended Furure Version)" fraziona i precisi impulsi delle percussioni intercalandoli ai flussi di synth. "The Perfect Lie (edit)" elabora sperimentali teorie technologiche dai vocals echeggiati così come "Investigation Incomplete" batte il tempo con un ballabile dualismo drumming-progs attraversato da fraseggi campionati. Un ripetitivo frammento sinfonico viene introdotto nel nucleo di "Underage Girls Should Not Shake Their Ass (Ass Shaker Mix)", traccia incolore ed inespressiva che precede il "second shot" di "Western Decay" dalla percussività pneumatica che sfreccia parallelamente al suo grafico sequenziale concepito per i cyber-dancers. Album non particolarmente fantasioso, monolitico, entro il quale tuttavia si riscontra una verve elettronica non affatto secondaria; l'introduzione di una generosa dose di fantasia ed arrangiamenti più coraggiosi potranno senz'altro incrementare i credits che l'artista dimostra di possedere. Un secondo banco di prova sarà d'obbligo.
-|-|-» Nell'immediato futuro l'audacia compositiva dovrà rappresentare per The Rythmdealer una priorità irrinunciabile: il talento, per quanto percettibile, necessita di perfezionamenti e variegatezza nelle proposte che dovranno riflettere maggiore spazialità. Bene ma con riserva.

- EMPTY - Surfacing -

Esulteranno i numerosi ammiratori del duo australiano Aaron Potter/Daniel Brunet: l'atteso album degli Empty è pronto! Mi sono occupato lo scorso anno del binomio australiano recensendo il singolo "Never.Get.To.You" ed esprimendo un giudizio più che positivo che replico senza timore di smentita anche nell'analisi di "Surfacing", il new full lenght creato da mani e menti intuitive che sopravvivono provvidenzialmente nonostante l'incessante logorìo del mercato alternativo troppo frequentemente penalizzato da cadute di stile e richiami commerciali, rischio scaltramente scongiurato dai due electro-men i quali propongono nell'album una variegata combinazione di sonorità provenienti da differenti discipline elettroniche amalgamate ad un mirabile acume compositivo. Licenziata dalla Aphotic Audio la release consta di quattordici episodi dall'irrequietezza che affascina attraverso le nevrotiche evoluzioni del drum & bass saldamente avviluppato ad un ampio corpus tastieristico ("Deprivation"), oppure in grado di emulare, senza rinunciare ad un'identità propria, le strategie vocal-strumentali di scuola Dismantled composte da torbidi rivoli di synths, sporca electro-percussività ed alienanti atmosfere sub-metropolitane ("Never Get To You"). Il ritmo sincopato del drum & bass si impossessa nuovamente del suono espandendo ondate di microframmenti sequenziati e bisbiglianti vocals ("The Centre") infettando le tracce con settiche vocalizzazioni alla Gary Zon percosse da un attenuato glitch-drumming ("Drift"). Cadenzate ripartizioni ritmiche, vox filtrata e discreto apporto di programming delineano evoluzioni soniche dall'elegante veste electropop ("Inside") anticipando espressioni vocali ed un veloce registro strumentale ispirato ai Mind.In.A.Box ("Ignite"). Capitoli perfettamente in equilibrio tra industrial ed electro architettano calde dilatazioni di keys ed un ammaliante spartito vocale (Underground") disponendosi successivamente in assetto dark-synthpop ("Locked"). Ancora fitta percussività dalla texture nevrastenica supporta robotiche configurazioni di voce e synths, convertendo in emozione un sound elettronicamente distaccato ("Forgotten Dreams") offrendo in seguito dumming up-tempo, vocals rochi e precise linee di progs destinate ai dancefloors ("This Regret"). Immersione totale nel gelo del synthetic-sound dalle connotazioni Front Line Assembly ("Recognition") e databank di matrice industrial vocalizzata con meditabonda disperazione ("Breathless") conducono verso paradisi artificiali ove il sussurro, il piano, i lenti, secchi drum-beats descrivono raffinate armonie dense di sentimento ("Frames") volteggiando infine su nebulose, incorporee espansioni di synth ed echi extraterrestri dalla natura dark-ambient ("Internal"). Un album che incorpora creazioni degne delle più prestigiose charts, essendo esso realizzato praticamente senza macchia ed idoneo a soddisfare anche le più esigenti pretese di futurismo sonoro. Il "vuoto" che è in voi verrà colmato.
-|-|-» Non sorprendono affatto le reazioni di entusiasmo manifestate dai cultori del progetto con base a Sidney alla notizia della pubblicazione di "Surfacing". Commettereste l'imprudenza di non possederne un esemplare?

- THE BEAUTY OF GEMINA - At The End Of The Sea -

Gli elvetici TBOG si confermano nuovamente fautori di un'ottima combinazione di gothic-rock e darkwave congiuntamente ad un sostegno elettronico misurato che permea con eleganza le songs del nuovo album licenziato dalla Danse Macabre. La band pentagonale Michael (vox/guitars/key/piano/prog/loops+sampler), il drummer Mac con David (bass), Philipp (violin) ed Adrian (cello), giungono quindi al terzo full lenght a tergo del buon "Diary Of A Lost" del 2007 e di "Stranger To Tears" posizionando quest'ultimo per otto settimane nella selettiva Deutschen Alternative Charts (DAC). L'attività live del progetto si rivela particolarmente florida e non priva di strategici affiancamenti a realtà di rilievo come i celebri Smashing Pumpkins, adoperando anche sul palco il talento che innegabilmente devo riconoscere loro anche dopo l'ascolto di questa recente release. Tredici tracce si sommano nella track-list nella quale il congegno di accensione è affidato a "Dark Rain" ed all'importante timbro vocale del singer che magnifica con innata decadenza il corposo affiancamento di key, drumming rock-oriented e gli elettrici intarsi di chitarra. "Obscura" interpreta con malinconia un mesmerizzante insieme di nebbia e suono gothic mescolati ad un palpabile senso di abbandono risaltato dalla voce di Michael, la medesima che con maggiore enfasi supporta le liriche della più dinamica "Rumours", splendido proclama irrobustito dal vigoroso duetto guitar-drum. Un segmento di programming apre "Kings Men Come", tenebrosa e tesa nell'intelaiatura chitarristica e nel refrain avvicendandosi in seguito a "Sacrificed To The Gods", anch'essa umbratile, compatta nelle ripartizioni percussive ed ipnotica nella modulare ripetitività di ciò che pare un violino campionato. L'iniziale dialogo bass-drum annuncia "End Of All" propagando in seguito i potenti vocalizzi ed un vivace comparto ritmico. "Counting Tears", traccia di rara bellezza, dispera nel canto profondo e sconsolato di Michael unito alla toccan
te struggevolezza del violino archeggiato da Philipp, turbinante in un goth-rock di ragguardevole significato che lascia assolutamente stregati specialmente nell'affascinante orchestrazione di chiusura. Grevi note pianistiche aprono l'invernale "In Silence", lentamente cadenzata dalla batteria e dai rilucenti tocchi di bell che si amalgamano ai meditativi vocalizzi del cantante continuando riverberati in "A Fortunate Tellers Dream", introverso psycho-goth-rockeggiante. La coriacea ritmica recupera terreno animando le complesse trame dell'osessiva "Black Cat Nights" e le parabole dark-gothic oriented di "Narcotica", veloce nelle propagazioni di chitarra e batteria, amara nelle espressioni vocali. Un'acquosa retta di programming sostiene funereamente "Endless Sleep" resa ancor più malinconica da studiati interventi di violino, cello e meste tonalità canore. "La Mer-Rythme Eternel" conclude il percorso proponendo uno psychedelico insieme di electro-sounds e programming. Album di gran valore, nobile e maturo, equidistante da ogni altro da me ascoltato dall'inizio in questi primi cinque mesi dell'anno in corso. Chi ritiene di saper fare concretamente meglio avanzi pure la sua proposta.
-|-|-» Grandioso rientro di una band di culto che per quanto relativamente giovane dimostra di poter concorrere ex aequo con le più elevate cariche del genere trattato. Terzo album, terza dominante conferma di maestria: ammiro nei TBOG l'innata, rara capacità di sapersi spingere ben oltre gli invalicabili confini dell'eccellenza, ancor più in là della fine del mare.

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