L’ennesimo album dei più che prolifici Ataraxia riporta il combo di Francesca Vicoli a sonorità più intimiste e nascoste. La narrazione di un mito delle origini in tutte le sue sfaccettature costringe gli Ataraxia a viaggi sonori in realtà di confine, andando a pescare non solo nel più classico suono a cui i nostri ci hanno abituato da anni, ma anche in enclave folklorisitche ben definite e lontane, nel tempo e nello spazio, ed anche in certo Dark Ambient minimalista che a tratti fa capolino, contribuendo ad aumentare non di poco l’essenza buia di questo lavoro. Ed è così che accanto alle classiche composizioni mantriche degli Ataraxia (“Therma”) sono parecchie le divagazioni, che contribuiscono a dare vita ad un album decisamente variegato e multiforme. Sugli scudi certamente composizioni quali “Klethra” e “Wings (I Had Once)”, la prima sognante nei suoi ritmi medievaleggianti e nel suo cantato algido e la seconda di impostazione più vicina a certo Ambient, con un pianoforte in grande evidenza che dona un particolare spessore melodrammatico alla voce profonda di Francesca, avvicinando in questi frangenti forse gli Ataraxia a certe cose dei Dead Can Dance. Per il resto brani come l’iniziale “The Nine Rituals” o la seguente “Kremasta Nera” qualificano un lavoro che suona fortemente Ataraxia, anche nelle sue contaminazioni, caratteristica questa che da sempre contraddistingue un ensemble che non smette mai di stupire. Il lavoro nel complesso gode di un’ottima varietà e della solita classe immensa a livello compositivo, risultando forse un po’ più complesso del solito, data la sua varietà, anche se probabilmente proprio in questo fattore risiede la grandezza degli Ataraxia, gruppo mai banale e che costringe sempre a catalizzare l’attenzione su di sé e sulla sua musica.
Giorgio Fogliata
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