Pare quasi che, ascoltando ‘Kremasta Nera’, si concretizzi una babele spirituale, oltre che sonora. Vuoi per la particolarità del rito evocato nella nuova opera di Ataraxia e vuoi per la moltitudine di identità musicali che si percepiscono durante l’ora e un quarto di durata dell’album. Un disco che mi lascia, ancora e sempre, affascinato, per come la ricerca di tematiche eterne venga affrontata con una partecipazione emotiva, che valica il coinvolgimento intellettuale, per abbracciare un profondo sentire dell’anima. Può essere solo questa la chiave di lettura per comprendere come certi temi vengano così sinceramente metabolizzati dagli Ataraxia e trasformati in versi e note. Nel caso specifico si fa riferimento alla trascendenza materiale di un antico culto praticato sull’isola di Samotracia, che venerava la dea Axieros e che ruotava attorno a nove rituali iniziatici (con il nono senza nome e mai rivelato). Le canzoni, pur nella loro diversità, riescono a trasmettere un profondo senso di armonia e pacificazione interiore, dove l’equilibrio si basa sull’intreccio di suoni ancestrali, evocazioni mistiche, canti iniziatici, ritmi tribali, suggestioni orientali, narrazioni cariche di fascino misterioso e figlie di Madre Natura, dove la voce è musa narratrice, oltre che ispiratrice, dove le etnie strumentali si intrecciano e le ambientazioni, i raga, le cerimonie e i rituali si mescolano e dove, sebbene il contesto sia acustico e tradizionale, le parti elettroniche apportano quel valore aggiunto tale da illuminare di una luce, comunque oscura, le grotte ai piedi delle cascate di Kremasta Nera.
|