Recensioni aprile 2007

 


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30 Seconds To Mars: A beautiful lie (CD - Virgin/EMI, 2007). Sapete cosa hanno in comune Alexander, Urban legend, American psycho, Fight club, Requiem for a dream e Panic room? Sono tutti film ai quali ha preso parte l’attore trentaseienne Jared Leto, uno che non ha soltanto grande confidenza con l’ambiente hollywoodiano ma che, al pari della collega Juliette Lewis, ha intrapreso una doppia carriera artistica, sia nel mondo del cinema che in quello della musica. Nel 2000 ha infatti fondato col fratello Shannon i 30 Seconds To Mars, pubblicando l’omonimo album di debutto solo due anni dopo, ma nonostante quest’ultimo non abbia venduto moltissimo i due e i loro compagni d’avventura hanno deciso di riprovarci e hanno dato alle stampe il secondo cd, che negli USA è uscito un anno e mezzo fa e che invece in Europa è disponibile solamente dallo scorso febbraio. Difficile capire i motivi di tale (incredibile) ritardo, che però non ha impedito al quartetto di crearsi un discreto seguito e di farsi apprezzare anche da un pubblico diverso da quello di Mtv, che rimane comunque il principale fruitore della musica che esso propone. Di certo non si può negare che i brani contenuti in A beautiful lie siano leggerini e patinati, ma personalmente li trovo abbastanza “sinceri” ed intensi, oltre che molto gradevoli. Jared sarà anche un mezzo fighetto ma la voce ce l’ha e sa usarla bene, tanto da risultare convincente sia quando interpreta le parti più “sdolcinate”, sia quando si mette a urlare in puro stile screamo. Da queste ultime parole avrete capito che il territorio nel quale si muove la band è quello dell’emo-rock, un genere che ultimamente sta raccogliendo grossi consensi pure in Italia ma che è molto meno scontato di quanto sembra, visto che non è facile costruire pezzi che si reggono sul bilanciamento tra tensione e delicatezza, e quindi sull’accostamento tra aggressività e melodia. Da questo punto di vista mi pare che i 30 Seconds To Mars abbiano svolto un ottimo lavoro (grazie anche al loro produttore Josh Abraham, famoso per aver collaborato con Linkin Park, Orgy e Velvet Revolver…) e che il risultato sia più che apprezzabile sulla “lunga distanza”, dato che per tutta la sua durata il disco si mantiene su buoni livelli. Insomma, i grandi occhi verdi e i lineamenti angelici del bel Jared attireranno sì le teen-ager, ma per le sue qualità il gruppo si merita pure l’attenzione di un pubblico più adulto e più interessato alla vera sostanza delle cose. Web: http://www.30secondstomars.com/. (Grendel)

The 69 Eyes: Angels (CD - Virgin/EMI, 2007). Ogni volta che esce un nuovo cd dei The 69 Eyes in Finlandia è come se fosse festa nazionale, difatti Jyrki e compagni hanno un grande seguito nel loro paese d’origine, e riescono sempre a raggiungere i primissimi posti delle classifiche di vendita. Dalle nostre parti, invece, il quintetto non ha mai spopolato e, nonostante una carriera ormai ultra-decennale e un look curato nei minimi dettagli, ha raggiunto livelli di notorietà medio-bassi, neanche lontanamente paragonabili a quelli cui sono riusciti ad arrivare gli Him (e non è certo un caso se qui nomino proprio la band di Ville Valo, che proviene dalla stessa nazione ed è dedita ad un tipo di musica molto simile a quello proposto dai “sixty-niners”!). Per quanto mi riguarda, ho sempre affermato che il gruppo non è tra i più originali del suo genere (il cantante, per esempio, mi dà l’impressione di voler emulare Peter Steele dei Type O Negative…), ma in questi anni, a fasi alterne, è anche riuscito a sorprendermi e a farmi pensare che non è poi così male. In particolare il penultimo disco, Devils, mi aveva colpito per la sua spontaneità e immediatezza, ma soprattutto per quei suoni ruvidi e “sanguigni” che lo caratterizzano, tra l’altro piuttosto lontani dalle atmosfere romantico-decadenti che infarciscono i tre album precedenti. Con Angels i 69 Eyes riescono ancora a stupirmi, trattasi infatti di un lavoro leggerino e accessibile che però non manca di efficacia, e che si colloca a metà strada tra il gothic e il glam-rock più raffinato e meno stradaiolo, un po’ come se la band volesse farci capire che, pur amando alla follia l’assolata Los Angeles e le sue mille tentazioni (a questo proposito vi segnalo l’ottava traccia del cd, guarda caso dedicata alla metropoli californiana…), si sente fortemente legata alla ben più tetra Helsinki, città da cui proviene e della quale continua a subire l’influenza (del resto è risaputo che i finlandesi, rispetto ad altre popolazioni, sono più portati alla depressione e ad avere un atteggiamento pessimistico nei confronti della vita!). In generale mi è piaciuta l’alternanza di momenti in cui o la componente glamour o quella “oscura” vengono messe in rilievo (bella ad esempio la contrapposizione tra la darkeggiante “Never say die” e la scanzonata “Rocker”…), e devo ammettere che i cinque sono riusciti a confezionare un album che, pur essendo un collage di cose già sentite, ha qualità tali da risultare molto piacevole all’ascolto. Web: http://www.69eyes.com/. (Grendel)

Aa. Vv.: Septic vol.7 (CD - Dependent/Masterpiece, 2007). Ho già sottolineato in passato l'alto livello qualitativo di questa serie di compilation della Dependent, ed anche il "volume 7" (ultimo della serie, visto che l'etichetta chiuderà i battenti quest'estate) non tradisce questa tradizione. Rispetto al passato notiamo essenzialmente un maggior numero di "newcomer" ed una maggior varietà stilistica con una sorprendente apertura verso sonorità piuttosto "pop". Rappresentanti di questa "aria nuova", che tende a mescolare l'elettronica col pop (ma non pensate all'elettro-pop dei primi anni'80, nonostante anche questo genere stia vivendo una seconda giovinezza) sono gli sconosciuti (almeno per me) Slok, Non Plus Ultra e The Knife, rispettivamente autori delle piacevolissime "Lonely child", "Alice D" e "Girls night out" e i piu' popolari IAMX che ci offrono un nuovo remix del loro singolo "Kiss & Swallow", giò noto ai piu' attenti osservatori della scena "elettro e derivati". Tornando in area prettamente elettro, sono decisamente ottimi i nuovi brani di Edge of Dawn e Mind.In.A.Box. i cui nuovi album usciranno nei prossimi mesi; molto buoni anche i brani di Controlled Collapse e Necro Facility indirizzati verso sonorità piu' dure ed oscure. Deliziose le atmosfere disegnate da Standeg nella strumentale (salvo un campionamento vocale tratto da "Forsaken" dei VNV Nation) "Replikant"; curiosa la versione della classica "Der Mussolini" dei DAF ad opera dei KMFDM, mentre una bella chicca (principalmente per la rarità con cui Philippe Fichot si concede a queste operazioni) è la conclusiva "Dominion" dei Seabound, remixata appunto dai Die Form (visto il titolo del brano, la scelta del duo francese come autore del remix pareva scontata). Come per i precedenti volumi, un ottimo sampler che ci offre un'ampia panoramica sulla migliore musica elettronica (nelle sue varie sfaccettature) in circolazione.... peccato sia l'ultimo della serie, ne sentiremo certamente la mancanza! Web: http://www.dependent.de. (Candyman)

Ait!: Romanticismo oltranzista (CD - Punch Records, 2007). Già avevo accennato, in queste pagine, alla questione del nemo propheta in patria, o a quella cecità che spesso porta a sottovalutare e/o ignorare quanto proviene dalle nostre lande che, per quanto disgraziate, diverse volte si rivelano foriere di sorprese sonore inattese, di qualcosa di davvero meritevole di un titolo di eccezionalità. Con Ait! andiamo addirittura in un altro versante: quello, elitario, degli outsiders. Quei rari e per questo ancora più apprezzabili casi di progetti non catalogabili, la cui sostanza non è sintetizzabile in due scarne parole, né con un “somiglia a” qualsiasi. “Romanticismo oltranzista” possiede realmente un dono: una forma-canzone che spazia senza mai radicarsi, andando oltre le restrizioni di genere, spaziando tra reminescenze dei sixties e dei seventies più cupi, ombre dei primordi industriali, un’emotività che va dall’ossessione, alla fermezza, a una crudele e beffarda ironia, fino ad una fiera drammaticità, modulate da un cantato fortemente “interpretativo” ma immensamente spontaneo, “sentito”. Retrò, bizarre, inusuale: parole indicative ma futili, perché solo l’ascolto può dimostrarne l’incompletezza. Il prologo vetero-swinging di “Uno spettacolo adulto” introduce la criminalmente bella “Io ballo da solo”, in cui un incipit capace di ricordare le atmosfere buie dei migliori Portishead cresce e diventa una melodia possente e amara, una danza misantropica che si rispecchia, nei principi, nelle parole di “La libera e democratica società moderna”, dall’andamento cinematografico, un ritmo deciso e insieme soffocante, oscuro. E il rimando alla pellicola torna nella lynchiana “Le tue labbra grigio-blu”, i suoi eros e thanatos sussurrati, consciamente malsani, pieni di sarcastico disprezzo nell’ossessiva e malata “Donna”, per chi scrive brano di una follia sublime, talmente affascinante da rimanerne complici. Come un senso di complicità lo si avverte ascoltando l’amara constatazione di “Il mondo è morto (trent’anni fa)”: allora l’arte e la sua libera espressione e l’uomo capace di avere delle idee, oggi il rincretinimento catodico; allora un mondo che mai si pensava sarebbe tornato indietro vanificando l’evoluzione cerebrale umana che fu. Tairy C. ha dato un suono e una voce a un pensiero complesso e pieno, a un’idea che in “Romanticismo oltranzista” trova la sua forma in strutture musicali sinuose, molteplici e insieme sempre coerenti. Un album che della sua particolarità fa la sua forza e il suo doveroso vanto. Web: http://www.punchrecords.it. (LilleRoger)

Amon/Nimh: Sator (CD - Eibon Records, 2007). “SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS”: queste cinque parole, che nel loro insieme compongono uno dei più noti palindromi della storia, costituiscono uno dei misteri provenienti da un lontano passato ancora oggi irrisolti. Sono inoltre i titoli dei cinque lunghi brani che compongono quest’album, frutto della collaborazione di due musicisti italiani: Andrea Marutti (Amon e Never Known) e Giuseppe Verticchio (Nimh, autore di numerosi CD da solo e in collaborazione con altri musicisti nonchè curatore dell’interessante sito Oltre il suono). La loro collaborazione dà vita ad un CD alquanto rarefatto, caratterizzato da un’ambient scura pur senza essere dark ambient, in quanto si tiene lontana da molti dei cliché del genere, in particolare dalle atmosfere mortifere e “negative” che lo caratterizzano. Più che orrore o inquietudine, in accordo con il quadrato magico che la ispira, la musica del duo infonde un senso di mistero, come se si trattasse di un’analisi nel profondo di un inconscio non del tutto umano, poiché nei suoni vi è qualcosa di molto concreto che li allontana dalla sfera puramente psichica. Trattandosi di una musica molto minimale, il disco non è di ascolto immediato e potrebbe non essere adatto a chi cerca sensazioni forti e spaventose; al contrario fluisce apparentemente senza malizia, intaccando, però, le apparenti certezze che caratterizzano la superficie della nostra serena esteriorità. Per informazioni: http://www.aferecords.com/ank/. Web: http://www.oltreilsuono.com/nimh/. (Ankh)

Asian Kung-Fu Generation: Fan club (CD - Ki/oon Records Inc./Okami Records/Universal, 2006). Ecco, ci manca solo che la prossima volta il CapoRedattore Dex mi incarichi di recensire un gruppo dal nome "Il ragazzo dal kimono d'oro", e posso dirmi definitivamente sistemato! Asian Kung-fu Generation mi sa tanto di "Grosso guaio a China-Town" ma, prima che questi mi diano una bella spazzolata di botte, meglio che prema il tasto play e mi concentri sulla recensione. Undici pezzi compongono l'ossatura principale di "Fan club", con l'aggiunta di due bonus, ed i titoli vengono riportati in inglese; la maggior parte delle canzoni sono datate 2006, ma tre risalgono al 2005. Si inizia con "Waltz in code" ("Angou no waltz"), e debbo dire che mica si presentano tanto male, i quattro AKFG! Masafumi Gotoh canta con tono tipico dei giapponesi, a volte forza un pochino (come in "World apart", la voce è quella che è, non dovrebbe esagerare...), ma nel complesso tiene. Dopo il valzerino, si prosegue con la grintosa traccia appena citata, per poi scivolare in certo indie poco incisivo con "Black out", nulla di trascendentale. Kensuke Kita se la cava alla sei corde, mentre si danno un gran daffare Takahiro Yamada al basso e lo skin-beater Kiyoshi Ijichi. Molto meglio l'alterna-rock di "Primrose" ("Sakurasou"), la quale si mantiene su registri movimentati ma non troppo poggianti sul lavorio instancabile delle chitarre. Si fa apprezzare pure "Blue train", anche se ora il disco inizia a dare segni di logorio, i brani effettivamente si somigliano un pochino tutti... Per fortuna non mancano episodi più personali, come "A midwinter dance" ("Mafuyu no dance") o la semi-grungettona "Senseless". "Tightrope" è una ballatona adatta al pubblico di MTV, quello che fagocita centinaia di band destinate a suonare una stagione, quando va bene, e vestite di polo Fred Perry e di scarpe Etnies... Le due brevi tracce aggiuntive (ma chi le canta?) nulla aggiungono alla somma finale. Booklet assai sobrio, per il genere, niente fotografie del gruppo (peccato!), solo disegni e grande abbondanza di bianco e nero (immancabili le opportune traduzioni in inglese, tedesco e francese). Rispetto a tante uscite della scena VK, "Fan club" si rivela lavoro più di sostanza che di forma. Web: http://www.asiankung-fu-com. (Hadrianus)

Assemblage 23: Meta (CD - Accession Records/Audioglobe, 2007). Signori, giu' il cappello davanti al nuovo capolavoro firmato Assemblage 23. "Meta" (quinto album del progetto di Tom Shear e che giunge quasi tre anni dopo il precedente "Storm")si rileva un disco ottimo, senza alcun passo falso nelle dieci tracce in cui si articola; un vero gioiello elettro-pop, forgiato nel consueto stile di Assemblage 23: brani melodici ma non sdolcinati, ritmati ma non aggressivi, alternanza di brani piu' "dance" (ma con linee melodiche sempre in bella evidenza) con altri piu' prossimi al formato "ballad" e testi come sempre intensi, per pezzi che oltre che a smuovere le gambe, puntano (sopratutto) al cuore ed al cervello. Oltre alle già note "Binary" (scelta come singolo ad anticiapre l'album) e "Decades" (apparsa in versione leggermente diversa sul sampler "Accession volume 3" pubblicato qualche mese fa), abbiamo una raffica di altri ottimi brani: da "Ghosts" a "Sorry", da "Damaged" a "Madman's Dream"... impossibile fare scelte ed indicare brani preferibili ad altri: "Meta" è un disco di livello assoluto, una dimostrazione di classe e stile, lontana (grazie a Dio) anni luce dalle pacchianate e dal trash su cui puntano altri decantati progetti elettro che qualcuno vorrebbe portare ad esempio; Assemblage 23 continua a non sbagliare un colpo e "Meta" è un sicuro candidato per il titolo di miglior elettro-album del 2007! Web: http://www.assemblage23.com. (Candyman)

Ataraxia: Kremasta Nera (CD - Ark Records/Masterpiece Distribution, 2007). A pochi mesi di distanza dall'interessante Paris Spleen tornano gli Ataraxia su CD con un lavoro molto ispirato, più affine del suo predecessore alle classiche "corde" del gruppo. In particolare Kremasta Nera mostra molte influenze della musica mediterranea e mediorientale, che la formazione modenese interpreta con grande personalità in quelli che a mio avviso sono gli episodi migliori del disco (su tutti la splendida "Ochram" e "Therma", un brano ipnotico di sapore rituale). Nel CD è da menzionare anche l'eccellente lavoro alle percussioni di Riccardo Spaggiari, che costruisce delle efficacissime linee ritmiche privilegiando l'uso di tamburi etnici, che enfatizzano così il carattere "esotico" dei brani. Non mancano episodi più propriamente "neoclassici", come "Efestia" cantata da Francesca con una voce che ricorda in alcuni momenti quella delle "voci bianche", o la leggiadra "La fame e la danza", con la chitarra di Vittorio Vandelli in primo piano. "Ebur" sembra invece una outtake di Paris Spleen, visto che ricorda molto l'ambientazione un po' sinistra, da cabaret infernale, di quell'album. "Migratio Animae" con la sua melodia languida (verrebbe quasi da dire "liquida") rimanda invece alle atmosfere del loro secondo CD La Malédiction d'Ondine. Se dal punto di vista musicale Kremasta Nera mostra i molteplici lati creativi degli Ataraxia, suonando quindi molto vario e interessante, più rigoroso è l'approccio ai testi: l'album è infatti un concept, ispirato ai culti pagani dell'isola di Samotrace, con i suoi misteriosi riti iniziatici e una concezione dell'esistenza intimamente legata alla natura e ai suoi cicli. Sebbene Paris Spleen e Kremasta Nera siano usciti a poca distanza di tempo, la loro lavorazione è stata lunga e certosina, segno della serietà e professionalità con cui gli Ataraxia curano ogni produzione. Kremasta Nera è quindi un album molto bilanciato, caratterizzato da ottimi pezzi, che non mostra segni di cedimento o stanchezza. I fan degli Ataraxia proveranno talvolta una sensazione di "deja vu" ("deja entendu" sarebbe meglio dire) che non provoca fastidio però, vista l'alta qualità dei pezzi e la loro pregevole interpretazione. Dopo Paris Spleen un'ulteriore conferma della forma strepitosa del gruppo modenese, ormai un nome "storico" e affermato nel panorama della migliore musica eterea. Web: http://www.ataraxia.net. (Christian Dex)

Avant-garde: D'Inverno E.P. (MCD - Self-produced, 2007). Un bravo di cuore se lo merita proprio, Alessio Schiavi, anima e corpo del progetto Avant-Garde. In questi anni ha tenuto ben alto il fiero vessillo della dark-wave, inanellando una serie di lavori preziosi per impegno e valore intrinseco. "D'inverno" è brano che, scritto venti anni or sono, avrebbe meritato un posto tra quelli epocali, il testo è bellissimo ed umbratile, e si distende su d'un tappeto sonoro raffinatissimo, drappeggiato di viola e nero. "Prisma di plexiglass" è snella e veloce, caratterizzata dal bel lavoro del chitarrista Antonio "Severance" e del bassista Alessandro Conte, e rimembra le glorie del passato senza cedere alla facile tentazione del rimpianto; "Mare di silenzio" è austera e composta, con un sound figlio legittimo di Banshees, Cure, Sisters, sorprende la cover di "Colpi di sonno" dei concittadini Bohémien, episodio che si cala perfettamente nel contesto del disco, e che Alessio fa suo con grande passione. Canzoni epiche, interpretate col cuore, a discapito dei mezzi spartani (leggasi una produzione non proprio scintillante) questo E.P. merita rispetto ed attenzione. Cum laude. Per informazioni: www.myspace.com/avantgarde1994. Web: http://www.avant-garde.org.uk. (Hadrianus)

Ayabie: Virgin snow color (CD - XXX Records/CLJ Records/Audioglobe, 2006). Mmm, devo ammettere che ultimamente il Giappone va parecchio di moda a casa mia. A parte l'automobile (dopo anni di europee, nel 2000 ho compiuto il grande passo), non trascorre giorno che io e mia moglie ci imbattiamo in qualche nuova figurina di Goku, Vegeta o Gohan (nelle versioni normale o supersaiyan, boh!) od altri della combriccola Dragonballz, eppoi ci si sono messi di mezzo pure i nostri nuovi beniamini della scena Visual Key! Dopo la scolastica intro "Virgin snow color" (mi ha vagamente rimembrato una versione acoustic di "Video killed the radio star" di bugglesiana eredità, eseguita dal solo Geoffrey Downes... forse era proprio un bootleg giapponese degli Asia, combinazione!), ci pensano "Shine" e la sparata "Lapis Lazuli" a meglio definire i contenuti del dischetto. Ci troviamo di fronte al solito impasto al quale gli alfieri della VK (un programma in onda sul digitale terrestre passa spesso i loro video, esploratelo!) ci hanno ormai adusato, ovvero punk/goth/nu-metal/post-metal/crossover... triturati in un unico mortaio! "Kotonohanoru" è nu energizzato, col batterista a fare gli straordinari ed urla belluine ad abbellire (?) il tutto, poi si passa alle a dir poco sconcertanti "Hinata" (da sigla di cartoon, ridicola nel cantato e nella struttura) e "Mefish no uta, koigarano suihou" (ballad da diabete assicurato). Ma ci pensa "0010" a ristabilire dignità a "VSC", qui Korn/Limp Bizkit/Slipknot andrebbero a spasso! Chitarrona potente, inserti elettro micidiali stop-and-go. Lincipit di "AZ" non è incoraggiante, poi irrompono gli strumenti, e tutto si assesta, risolvendosi in un bel pezzo alterna, chiudono "Ancient-tree" (pop-rock carino, senza infamia nè lode) e "Hoshihuru ohanashi" (riempitivo e nulla più). A proposito, a mia figlia gli Ayabie sono piaciuti alquanto, sarà per il look a dir poco forte (sono fanciulle o maschietti? A tal punto androgini, che qui non si capisce nulla!): colorati, sparatissimi, ultra-glamour da far impallidire certi efebici modelli di Vogue, i quattro non per nulla assomigliano, almeno nelle espressioni, ai citati eroi di carta! Tutto sommato, a me non dispiacciono, ma si sa che coi nipponici sono ormai di parte. Non dei fenomeni, decisamente inferiori a Merry, Dir En Grey o Kagerou (R.I.P.), certo, ma neppure da condannare a priori! Web: http://www.cljrecords.com. (Hadrianus)

Black Rebel Motorcycle Club: Baby 81 (CD - Red Int/Red Ink, 2007). Grazie all’omonimo cd d’esordio, uscito nel 2001, i Black Rebel Motorcycle Club sono diventati uno dei nomi di spicco del cosiddetto “new rock revolution”, sorta di movimento musicale che ha avuto come esponenti principali band del calibro di White Stripes, The Strokes e Kings Of Leon, ma che sembra essersi esaurito nel giro di pochi anni. Dopo la pubblicazione del (pur ottimo) secondo disco, intitolato Take them on, on your own (2003), il gruppo ha dovuto affrontare un periodo abbastanza critico, durante il quale è stato scaricato dall’etichetta che lo aveva lanciato a livello internazionale (la Virgin) e si è anche visto costretto ad allontanare il batterista Nick Jago, ormai divenuto inaffidabile a causa dei suoi problemi con alcool e droghe. A tutto ciò è seguita la realizzazione di Howl (2005), album interlocutorio e molto distante dal sound a cui Peter Hayes e compagni ci avevano abituato, vale a dire un rock-garage grezzo e immediato che ricordava sia gli Stooges che i Jesus And Mary Chain, e che personalmente ritenevo piuttosto valido e interessante. L’impressione è che la band abbia voluto cercare una via alternativa, o forse un modo per raggiungere un pubblico più vasto, fatto sta che la scelta di proporre canzoni molto più soft e “back to the roots” di quelle dei primi due cd l’ha ampiamente ripagata, permettendogli di ottenere il grande successo che in passato aveva solo sfiorato. Per come la vedo io Howl non era male, ma è pur vero che ascoltare ballate acoustic-folk invece dei soliti pezzi “casinari” fu un grosso shock, di conseguenza non potevo non accogliere con sollievo questo nuovo capitolo della saga Black Rebel, un lavoro bello e “sostanzioso” che mi ha ricordato come mai, ben sei anni or sono, la formazione originaria di San Francisco mi aveva colpito così tanto. Non si può dire che la musica contenuta in Baby 81 sia caratterizzata dalla stessa ruvidezza e aggressività del debut o del suo successore, ma di sicuro la somiglianza con le vecchie cose è forte, e per capirlo basta sentire brani come “Window”, “Cold wind”, “Took out a loan” o “Weapon of choice”, tutti ottimi esempi di rock-blues-garage sensuale e ammiccante, ma anche fresco e melodico quanto basta per non risultare stucchevole. Nel disco non ci sono riempitivi, e questa è già una cosa importante, ma ancor di più lo è il fatto che il terzetto (ora di nuovo nella formazione originale!) sembra aver raggiunto una notevole maturità espressiva, dimostrata sia dall’eccellente qualità delle vocals che dalla perfezione strutturale/formale delle singole canzoni, davvero intense ed ispirate. Insomma, non mi aspettavo un ritorno in così grande stile da parte della band americana, e credo essa meriti più di un plauso per come è riuscita ad affrontare le avversità, uscendone fuori a testa alta e addirittura rigenerata… Web: http://www.blackrebelmotorcycleclub.com/. (Grendel)

Brillig: The Plagiarist (MCD - Black Rain Records, 2007). Ecco il disco che fa per il sottoscritto! Innanzi tutto la vocina di Matt Swayne (credetemi, non è Brett Anderson degli Suede che canta, eppure ci siamo vicini!), eppoi quelle atmosfere melliflue, ruffianissime, pregne di eleganza e di ostentato , tutto è al suo posto! "Truth or dare?" m'aveva già trafitto quand'imbattei nella splendida e ricchissima (di contenuti e qualità) "A compilation 2" della track-list della quale fece parte, la lenta e decadente title-track assesta al mio povero cuoricino provato il fatal colpo di grazia, fra visioni d'un Oriente lontano (le "Visions of China" dei Japan di David Sylvian?) e fondali adamantini d'un mare immoto, "Nihilist" è (dark)-glam-pop a la Placebo, le chitarre graffiano incrociando pure certi Flamingoes, quelli più composti e meno impulsivi, il lavoro di Denni Meredith al basso è notevole, Swayne si conferma cantante degno, "Escher" concede le luci della ribalta alla brava Elizabeth Reid, dal timbro seducente, ed è ancora una volta mirabile sintesi di classe e di bravura. Tutto qui, il disco ha un solo difetto, è un mini... Preciso che le prime due canzoni le riascolteremo sull'imminente nuovo lavoro del terzetto, quel "Mirror on the wall" che già si preannuncia imperdibile, che la numero tre e la numero quattro sono state estratte da "Pterodactyls", disco lungo del 2003, e che v'è pure una traccia video, la versione acustica di "Followed" (da "Finders keepers, losers weepers", acoustic-EP del 2003). Ri-schiaccio il tasto play! (Hadrianus)

Crisantemo del Carrione: Fiore di passione (CD - Le Lammie/Final Muzik, 2006). L'intro narrata dal Prof. Beniamino Gemignani c'introduce a questo interessante lavoro del Crisantemo del carrione, incentrato su tematiche musicali che rimandano alla gloriosa stagione della new-wave tricolore. Un lavoro che si riflette nella sua insita composta autarchia, suddiviso in ulteriori nove brani (più bonus e due sorprendenti ghost-tracks delle quali taccio, invitando l'ascoltatore a scoprirne l'origine), caratterizzati dall'uso della fisarmonica, dell'organetto e del mandolino, stromenti atipici a queste latitudini sonike, ma adattissimi al contesto dell'opera. Trattasi di un disco incentrato su d'una fosca vicenda che interessò il carrarese (il Carrione è fiume di quelle lande) nel corso del secolo XIV, anni tragici attraversati da pestilenze e da carestie che aprirono varchi spaventevoli fra quelle popolazioni, incidendo un segno indelebile nelle memorie popolari. Essendo il Prof. Gemignani un acuto ricercatore di documentazioni e leggende che comporvassero il passato di Carrara, la collaborazione fra il gruppo e lo studioso si è rivelata assolutamente naturale ed opportuna. Ecco sorgere così dalle nebbie dell'evi trascorsi canzoni come "Crisantemo del Carrione", "Marmi a Venezia" (e la devastazione provocata dal terremoto del 1348 sulla perla lagunare è un altro dei temi toccati dai nostri musici), "Atto di dolore" e sulla bella e commovente "Chanson Chantal", la quale emana un particolare fascino declinato dalla interpretazione in lingua franca, e che come in parte le sue sorelle "Le Noir du Boulevard" e "Le Portrait del Ombres" (ho invertito l'ordine della track-list, per queste ultime) ricorda quanto composto dai più romantici And Also The Trees. La voce di Alessandro Cucurnia non spazia in quanto ad ampiezza dello spettro, ma risolve con fermezza il tema ad essa assegnato; il suono talvolta risulta scarno e ridotto all'essenziale, senza che questo costituisca una pecca, tutt'altro. Risulta così, nella sua austera semplicità, praticamente perfetto "Fiore di passione", velato di commossa tristezza ed inducente al raccoglimento. Visioni di morte e di dolore, ed un crisantemo che lento scivola lungo le acque pigre d'un rio... Per informazioni: www.myspace.com/finalmuzik. Web: http://www.finalmuzik.com. email: finalmuzik@libero.it. (Hadrianus)

Days Of Fate: Traffic (CD - Rabazco/Masterpiece, 2007). I Days Of Fate sono una band di Dresda formata da Torsten Klotz (voce), René Prescher (synth, chitarra, batteria), Dirk Schwulera (synth) e André Schuster (synth). Leggendo questa breve descrizione avrete già capito che il quartetto ha parecchio a che fare con la musica elettronica, ma va detto che l’etichetta discografica per la quale incide ci tiene molto a sottolinearne l’appartenenza a quella categoria di gruppi che mescolano stili diversi, e che cercano di prendere il meglio di ognuno. Insomma, stando alla biografia allegata al cd, la Rabazco Records vorrebbe “vendercelo” come un prodotto che sta a metà strada tra l’indie-rock e il synth-pop, ma per come la vedo io Torsten e compagni propongono principalmente il secondo dei due generi, perché in Traffic di rock ce n’è davvero poco!! Sempre leggendo la bio si può notare che i quattro tedeschi non sono stati molto prolifici nella loro carriera (in quasi quindici anni hanno pubblicato solo altri due full-lenght, ovverosia Gates e Home-made cake of the day), ma almeno le poche volte in cui si mettono a fare qualcosa lo fanno bene, infatti questo lavoro è molto gradevole e, pur essendo notevolmente lungo (oltre a undici track “normali” contiene anche quattro remix versions…), non mi ha mai annoiato e mi ha portato a riflettere sul fatto che la band meriterebbe l’attenzione di un pubblico non soltanto “settoriale”. Pezzi come “Lonely people”, “Quicksand”, “Question your mind” o “Rising again” (da notare che quest’ultimo è impreziosito dalla partecipazione di Stefan Großmann degli Absurd Minds, che duetta col cantante dei DOF) sono perfetti sia per l’ascolto che per essere ballati, e in discoteca potrebbero tranquillamente essere inseriti tra una canzone degli Alphaville e una dei Depeche Mode… Insomma, nulla di nuovo o di stupefacente, ma senz’altro un bell’esempio di electro-pop solare, elegante e raffinato, che piacerà molto agli appassionati del genere. Web: http://www.daysoffate.com/. (Grendel)

Decades: Secrecy (CD - Civic Dust Company, 2007). Secrecy è il nuovo cd dei tedeschi Decades (terzetto formato dal vocalist Stefan Leukert, dal tastierista Thomas Bleskin e dal batterista Bert Paulikat) ed è pure uno di quei lavori che fanno andare in paranoia un recensore, affermazione legata al fatto che la prima volta che lo senti sembra una mezza schifezza, o meglio sembra uno di quegli album su cui c’è poco da dire perché sono un po’ monotoni, incolori e poco incisivi. Se avessi dovuto basarmi sulla prima impressione avrei detto che il synth-pop proposto dalla band, caratterizzato da strutture semplici e lineari (oltre che da ritmi piuttosto lenti e da sonorità ben poco “pompate”) assomiglia a una versione molto soft e un tantino scialba di certe cose di Depeche Mode e Covenant, e avrei anche aggiunto che c’è ben poco da esaltarsi con brani come questi, ma devo ammettere che dal secondo ascolto in poi mi sono resa conto che tale idea era del tutto sbagliata!! Voglio dire, tra il materiale realizzato dal trio e quello dei gruppi appena menzionati c’è più di una somiglianza (basti pensare che il singer Stefan ha un timbro di voce simile a quello di Eskil Simonsson…), ma i pezzi del disco non sono né sciatti né insulsi, anzi sono alquanto carini e col tempo si fanno apprezzare sempre di più, dimostrando che talvolta alcune caratteristiche che appaiono come difetti si trasformano in veri e propri pregi. In poche parole il termine “semplice” non corrisponde sempre a “poco interessante” o “inefficace”, e infatti in questo caso siamo di fronte a un prodotto che non ha nella complessità o nel dinamismo i suoi punti di forza, ma che si fa notare grazie ad un sound cristallino, gradevole e molto ricercato. Il mio giudizio finale non può che essere positivo quindi, anche in considerazione del fatto che questi tre musicisti hanno dimostrato di avere buone doti interpretative, uno spiccato senso della melodia e soprattutto una grande abilità nel comporre canzoni stilose, “colte” e raffinate. Web: http://www.decades-music.de/. (Grendel)

Dimmu Borgir: In sorte diaboli (CD - Nuclear Blast/Audioglobe, 2007). Sembra incredibile ma sono già passati dodici anni da quando i Dimmu Borgir hanno pubblicato il loro album d’esordio For all tid, tra l’altro parecchio apprezzato dagli allora non molto numerosi fan dell’extreme-metal scandinavo. In quel momento Shagrath e compagni erano solo dei ragazzetti che tentavano di seguire le mode musicali che andavano per la maggiore in Norvegia (la loro nazione d’origine…), e mai avrebbero immaginato di poter diventare ben più famosi delle band che tentavano di emulare. È stato infatti con Stormblåst(1996) e con il successivo Enthrone darkness triumphant (1997) che il gruppo si è imposto all’attenzione del grande pubblico, raggiungendo traguardi insperati e diventando, assieme agli inglesi Cradle Of Filth, uno dei principali esponenti della scena black metal. Come tutti saprete il genere in questione ha avuto un’evoluzione velocissima, essendo nato e (quasi) morto nel giro di poco tempo, ciononostante noi ascoltatori siamo stati letteralmente “bombardati” da uscite discografiche che, nella stragrande maggioranza dei casi, erano più che perdibili. Adesso che le acque si sono calmate e il fenomeno si è ridimensionato rimangono solo i “sopravvissuti” di quell’epoca, e tra di essi ci sono pure i nostri Dimmu Borgir, che non hanno mai rinunciato a proporre musica potente, pesante e super-aggressiva (anche perché, a dire il vero, sono tra i pochi che grazie ad essa hanno guadagnato un sacco di soldi!!). Il loro sound negli anni non è cambiato molto, difatti questa nuova fatica non fa che riconfermare ciò che sapevamo, e cioè che sono piuttosto bravi nell’accostare parti heavy e super-veloci con oscure e maestose sinfonie che la fanno da padrone per tutta la durata del disco. Come al solito le mefistofeliche vocals di Shagrath si alternano a quelle (ben più angeliche…) di ICS Vortex, e come sempre il suono è cristallino e le varie componenti che costituiscono i brani sono perfettamente bilanciate (e qui il merito va al noto produttore svedese Fredrik Nordström, in passato già collaboratore della band…), per cui non si può parlare di “sorprese” in senso stretto, ma certamente neanche di delusioni. Insomma, chi conosce e apprezza da tempo i norvegesi va sul sicuro anche stavolta, perché sa che da loro può aspettarsi il massimo della professionalità e dell’integralismo formale, mentre i black metallers “old-school” (mi riferisco a coloro che hanno sempre guardato il gruppo con sospetto o che, peggio ancora, lo considerano “venduto”…) questo cd lo possono ignorare senza problemi, perché al suo interno di novità non ce n’è nemmeno una. Web: http://www.dimmu-borgir.com/. (Grendel)

E-Craft: Unsocial Themes (CD - Electric Blue, 2007). A quattro anni dal loro ultimo cd "Status" (una sorta di best-of con l'aggiunta di remix, inediti e brani "live"), tornano con un nuovo album, gli E-Craft. Proveniente dall'ex-Germania Est, questa band propone da sempre un sound particolarmente duro ed aggressivo, una sorta di EBM old-school contaminato con l'industrial. L'apertura del cd è affidata a "Leid-Tier" e "Revolts Blood", buoni pezzi, sopratutto la seconda che potrebbero ricordare i Funker Vogt piu' ispirati; la successiva "Invasion Destructive" è prevalentemante strumentale ed entra in "zona Feindflug", tanto per voler dare dei termini di riferimento al lettore/ascoltatore e apre una serie di brani piu' "duri", come "Easy to fuck!", brano decisamente "abrasivo" che fa convergere industrial e techno. "Necromanie" è un'altro brano emblematico del sound di E-Craft, dove l'EBM piu' dura va a braccetto con l'industrial; si muovono su queste coordinate buona parte delle successive tracce ("Feindfahrt", "Gerichtet V2.0"), per un disco "muscolare" ma tutt'altro che monotono ed assai piu' ispirato di tanti altri beceri cd. Un sound "old school", forse un pò ingenuo e datato, ma schietto e sincero, che fa di "Unsocial Themes" è una sorta di "must" per gli amanti dell'EBM "old school" piu' dura e senza compromessi. Web: http://www.e-craft.de. (Candyman)

Eighteen Visions: Eighteen visions (CD - Epic, 2006). I più rockettari di voi sapranno che, in tempi recenti, un sacco di death metal band hanno pensato bene di cavalcare l’onda del trend musicale più cool del momento (sì, proprio quello, l’amato-odiato metalcore…) e di conseguenza hanno cambiato genere, ma c’è anche chi ha fatto l’esatto contrario ed ha preferito scegliere una via alternativa. È questo il caso degli Eighteen Visions, quintetto californiano attivo da una decina d’anni che ultimamente ha deciso di “addolcire” la sua proposta, passando dal già citato metalcore ad un emo-glam-rock abbastanza gradevole in certi frangenti, ma che a lungo andare può venire un po’ a noia. Non che il gruppo non si sia impegnato nel realizzare brani ben strutturati e “catchy” (qui di melodie e di parti canticchiabili ce ne sono in abbondanza…), ma a volte si ha la sensazione che le soluzioni sonore che esso ha adottato siano in assoluto le più scontate, difatti basta sentire pochi pezzi per rendersi conto che l’album non è di quelli che può riservare sorprese o “crescere” ascolto dopo ascolto! Essendomi però capitato di vedere un concerto di James S. Hart e compagni, posso aggiungere che la dimensione live ne esalta le capacità e il dinamismo, e che anche le canzoni più dozzinali si trasformano in qualcosa di interessante, se non altro perché, a dispetto dell’immagine curatissima e “ultra-fashion”, i cinque sul palco si agitano parecchio e fanno un notevole casino (mi riferisco ovviamente al rumore generato dagli strumenti che suonano, e non solo al loro continuo correre e dimenarsi!). Insomma, non mi sentirei di consigliare il cd a chi va sempre in cerca di novità e di cose originali, inoltre credo che questa release possa essere tranquillamente trascurata anche dai super-appassionati di emo (a meno che non vogliano ascoltare “tutti ma proprio tutti” i lavori più o meno ricollegabili a tale genere…), ma a questi ultimi raccomanderei di andare a vedere gli Eighteen Visions dal vivo, perché è senz’altro quello il modo migliore per apprezzarli. Web: http://www.eighteenvisions.com/. (Grendel)

Essexx: Bridges (2CD - Prussia Records, 2007). Essexx è un progetto formato da Sara Noxx e Sven Wolff (Dust of Basement); le musiche di Sven e l'inconfondibile voce di Sara danno vita a "Bridges", disco che è un atto d'amore verso sonorità elettro-pop anni'80. Opera articolata su ben due cd (anche se il secondo ospita solo remix, per altro alcuni decisamente validi, a cura di nomi di un certo rilievo come Feindflug, X-Fusion, Dust of Basement, Absurd Minds, Psyche, Supreme Court, XP8, ecc....), "Bridges" ci propone canzoni "leggere" ma indubbiamente gradevoli, per un piacevole viaggio indietro nel tempo, tra synth-analogici ed un elettro-sound indubbiamente retrò, tra cui spunta addirittura una cover di Amanda Lear (!!!), "Follow me". Molto carine, all'insegna di un elettro-pop melodico e zuccheroso, sono "Fatal Love" ed "Outside", ma il brano che giustifica l'acquisto del cd è la favolosa "Undercover" che vede la partecipazione di Tom Shear (Assemblage 23) come guest vocalist: un brano splendido, che entra in testa sin dal primo ascolto. Il cd2 si rivela qualcosa di piu' di un semplice riempitivo, visto che alcuni remix sono veramente ottimi. offrendoci una rilettura interessante delle versioni originali; citazione di merito per i lavori di Feindflug, X-Fusion e Dust of Basement. "Bridges" si impone quindi come uno dei migliori esponenti del grande ritorno che sta vivendo l'elettro-pop dei primi anni'80. Web: http://www.essexx-music.com. (Candyman)

Even Vast: Teach me how to bleed (CD - My Kingdom Music/Audioglobe, 2007). Davvero assai piacevole "Teach me how to bleed" degli Even Vast, originariamente attivi come Chaos and Technocracy e giunti al terzo capitolo lungo della loro discografia. Un gruppo che si giuova della voce caratteristica di Antonietta Scilipoti, interprete appassionata delle dieci songs contenute nel dischetto. Buona la produzione, curata nel casalingo H-Soundstudio di Aosta, e molto particolare l'artwork, visionario come il goth-metal proposto dai nostri, fresco e lontano assai da stereotipi abusati. "Infected" ed "Away" puntano più sulla melodia che sull'impatto tecnico, freddo ed alla lunga stancante, e per fortuna queste saranno le linee guida dell'intiera opera. "Limelight" incorcia atmosfere chitarristiche vagamente wave, e precede una personalissima rivisitazione della joydivisioniana "Love will tear us apart". E che i nostri non intendano percorrere sentieri già da altri battuti, lo dimostrano "I do" e "About you", sopra tutto la seconda risente dell'influenza basilare del classicissimo goth-sound, con chitarre sisteriane a duettare con un basso pulsante ed una batteria essenziale. Le vocals di Antonietta si rivelano vieppiù adattissime allo stile degli Even Vast, nel quale la componente melodica si rivela decisiva. Tanto che "Teach me how to bleed" potrà piacere ad un pubblico assai vasto, senza per questo essere biecamente commerciale. La qualità di queste canzoni (le sciabolate di "Misbecoming" non intaccano il corpus del pezzo) ed il perfetto bilanciamento fra gli stromenti si rivelano decisive: le chitarre e gli electronics di Luca Martello creano un groove pazzesco, Vincenzo Di Leo (basso) e Stefano Manfrin (batteria) sanno quando ergersi a protagonisti, il resto lo fa la diecina di pezzi di "TMHTB", disco privo di cadute di tensione, come lo dimostra "Sleep", pezzo che chiude ma per la sua intensità potrebbe far tranquillamente da apripista. Certo è che la My Kingdom Music non sbaglia proprio un colpo! Per informazioni: fausto@auralmusic.com. email: info@mykingdommusic.net. (Hadrianus)

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