Gli Ataraxia sono senza dubbio il gruppo di maggior rilievo
nella scena ethereal-dark italiana ed ogni loro release è la scoperta di
nuovi orizzonti musicali, di elementi sempre nuovi che si incastonano
nel mosaico di una discografia lunga un decennio e ricca di momenti
ispirati.
L’ultimo nato “Saphir” si sviluppa sul tema ideale del
giardino, luogo di congiunzione tra natura e opera dell’uomo, una
costante nel tempo e in ogni civiltà. Il titolo dell’album deriva in
particolare dallo zaffiro, un colore tipico dei giardini arabi e dal
nome di un vento, lo Zefiro, da sempre musa ispiratrice delle opere
degli Ataraxia(>>>vedi intervista nella sezione dedicata).
Il suono
dell’album è molto classico, genuino nel suo incedere progressivo
attorno al consueto binario armonico impiantato dalla chitarra di
Vittorio Vandelli.
In “Azar” abbiamo modo di apprezzare l’incrocio di
voci dei tre membri storici (Francesca Nicoli, Vittorio Vandelli e
Giovanni Pagliari) e ci lasciamo poi cullare dalle onde leggere di
“Outremer”. Assaporando le essenze profumate di “Jardin de Lune” sembra
quasi di scorgere gli azulejos e le piastrelle color zaffiro del
chiostro che lo contiene e ci ritroviamo all’improvviso in un’atmosfera
nuova con l’arabesque di trombe nel finale sfumato. Un’ispirata “The
gentle Sleep” sale graduale con un enfatico arrangiamento per pianoforte
e voce. Chitarra e percussioni (suonate da Riccardo Spaggiari) entrano
in ritardo, conferendo al brano un tono epico e
trascinante.
Continuiamo a passeggiare attraverso il giardino di note
creato dagli Ataraxia e ci fermiamo davanti a due autentiche pietre
preziose come “Rue Bleue” e “Of Asphodel”. La prima ci rapisce con il
suo tenue suono di musette, facendoci scivolare idealmente attraverso le
pallide nubi parigine sulle stradine del Quartier Latin e di St.German.
Al primo ascolto di “Of Asphodel” non riusciamo a non pensare al miglior
Morricone e ai film di Sergio Leone: un gran pezzo nel quale Giovanni
Pagliari sfodera una tecnica pianistica degna di Ludovico Einaudi e che
ci lascia senza fiato.
E’presente poi una bella ghost track
contenente un rifacimento della “Petite Ouverture a Dancer” di Erik
Satie.
Gli unici rilievi che è possibile fare, per altro di scarsa
importanza e che non incidono sulla valutazione di quest’ottimo lavoro,
riguardano l’aspetto qualitativo dei campionamenti di pianoforte e di
archi utilizzati, purtroppo non eccezionali. Ciò attribuisce al piano un
suono leggermente metallico e agli ensemble orchestrali un appeal un
po’artificioso.
La voce di Francesca è come al solito meravigliosa,
con la sua capacità espressiva è senza dubbio la vera “marcia in più”
degli Ataraxia; è nostra speranza che non smetta mai di sperimentare
sempre nuove soluzioni e ci consenta di apprezzare il grande dono che
madre natura le ha conferito in tutte le sue varianti, senza trincerarsi
eccessivamente dentro uno stile d’impostazione lirica che alla lunga può
correre il rischio di essere sempre uguale a sé stesso.
Nonostante
siano trascorsi molti anni dalle prime releases gli Ataraxia si rivelano
sempre un gruppo nuovo, pieno di contenuti in continua evoluzione e con
albums come “Saphir” ci permettono di volare nel loro speciale universo
di note…“fossimo solo gabbiani di primavera, invece di povera ciurma
che danza alla deriva…”.
Libero Volpe